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Che il petrolio sia una risorsa per la Basilicata è un dato inconfutabile, ma che la Basilicata debba basare il suo sviluppo esclusivamente sul petrolio rischia di pregiudicare ogni “visione” di futuro di una terra che può e deve osare di più. Lo studio della Fondazioni Mattei, ripreso oggi (ieri per chi legge) nell’articolo “Senza estrazioni una Basilicata da terzo mondo”, dice che se non ci fosse stato il petrolio la Basilicata oggi starebbe peggio sia in termini occupazionali che di Pil.
Questo, come cittadino della Val d’Agri, mi spinge fare alcune riflessioni.
La prima. La recessione economica ha, di fatto, reso vano ogni tentativo, operato dal Governo nazionale, di incidere nelle dinamiche di sviluppo con le riforme (o pseudo tali) che si sono succedute in questi anni. Se questo è, alla domanda cosa sarebbe la Basilicata senza il petrolio potremmo contrapporre la domanda cosa sarebbe l’Italia senza il petrolio della Val d’Agri considerato che dalla Val d’Agri arriva il 72% del petrolio estratto a livello nazionale, con le conseguenti ricadute sulla bolletta energetica nazionale. Per anni il territorio ha chiesto più attenzione ricevendo solo parole (che i nostri sindaci siano li ad elemosinare un posto di lavoro precario, per qualche concittadino, è, oramai, la impietosa realtà).
La seconda. Partire dalla consapevolezza che il petrolio è una realtà del nostro territorio e sarà uno strumento determinante per consentire alla Basilicata (e alla Val d’Agri) di avere le risorse necessarie per costruire il suo percorso di sviluppo ma deve essere considerato, appunto, uno strumento. Se così non fosse, se ci adagiassimo nel ritenerlo un bancomat da cui prelevare all’occorrenza per coprire le voci del bilancio regionale rischieremmo di pregiudicare il nostro futuro. I soldi non sono il problema della Basilicata: il quanto non è mai stato il vero problema a differenza del come, delle modalità con le quali sono stati spesi per sostenere le azioni messe in campo. Il come utilizziamo i fondi rinvenienti dalle royalties era ed è la chiave di svolta del nostro futuro. Guardare la Val d’Agri è rendersi conto, una volta per tutte, che un centro olii non può essere la panacea di tutti i mali di un territorio. Certo, informare sulle professionalità necessarie (da anni si spinge affinchè l’Eni lo faccia) avrebbe consentito di predisporre percorsi formativi per i nostri giovani (anche se non era difficile acquisirle, diciamo la verità). Abbiamo il dovere di allargare i nostri orizzonti e dare più forza all’imprenditoria della nostra regione, dall’agricoltura all’artigianato, dal turismo all’ambiente. Ma dobbiamo farlo seriamente, senza pretendere che altri scrivano la storia della nostra terra, impegnandoci in prima persona, tornando ad interessarci delle cose che ci circondano senza più dare deleghe in bianco.
La terza. Occorre, a mio modesto avviso, coinvolgere l’Eni in progetti di sviluppo da sostenere finanziariamente evitando, così, che la gran parte delle royalties sia destinata a coprire le spese correnti della regione. Dobbiamo lavorare alla proposta, alzandone la qualità, dobbiamo comprendere la necessità di stimolare una collaborazione seria tra i comuni dell’area finalizzata ad una strategia di sviluppo concertata, che sottragga i nostri ragazzi dalla nuova schiavitù rappresentata dai contratti di lavoro di un mese . Per avere di più dobbiamo dare di più.
La quarta. L’ambiente e il turismo costituiscono l’asse su cui fondare una azione seria di sviluppo. Non ultime tra le priorità ma percorso conclusivo di ogni processo da attivare. Fino ad ora il Parco della Val d’Agri è stato percepito (ingiustamente) da troppi (soprattutto imprenditori) un “impositore di vincoli” più che un “volano di sviluppo”. Eppure il valore aggiunto che un’area protetta può apportare alle nostre attività, agricole e turistiche in primis, è enorme.
Lo sviluppo deve essere sempre collegato al territorio: questo è elemento imprescindibile. Parco e Petrolio sono il territorio della Val d’Agri ma, ricordiacemolo più spesso, la Valle è, anche e soprattutto, cultura, agricoltura di qualità, turismo di qualità, non solo petrolio.
Forse l’oro nero potrà consentirci, con le sue risorse, di vedere meno nero il nostro futuro? non so ma di certo non aiuterà continuare a dividerci sul quanto, confrontiamoci sul come investire (e non spendere) i fondi delle royalties immaginando e progettando uno sviluppo sostenibile. Questo, sì, che chiama in causa e responsabilizza tutti, nessuno escluso, altro che petrolio.
* Avvocato
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