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POTENZA – Ha mentito tacendo quello che sapeva sull’omicidio di Vincenzo De Mare.
Lo ha stabilito il Tribunale di Potenza condannando a un mese e dieci giorni di reclusione Gino Carbone, agricoltore 61enne originario di Montalbano Jonico ma residente a Scanzano.
Ieri mattina si è concluso così il processo di primo grado per false informazioni al pm intentato dal magistrato che nel 2005 aveva ripreso in mano il fascicolo sulla morte dell’autotrasportatore, il 26 luglio del 1993.
La discussione si è svolta a porte chiuse dato che Carbone ha scelto il rito abbreviato. «Per evitare forme sgradite di pubblicità su una questione che non ne merita». Ha spiegato la difesa rappresentata in aula dall’avvocato Antonio Cantasano.
L’accusa si era rimessa al giudice Mariantonietta Fusaro per la determinazione della pena stigmatizzando il silenzio di un testimone su fatto così grave, dopo le rivelazioni in via confidenziale registrate dal capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo, ex comandante della compagnia di Policoro, e dal tenente Antonio Guglielmi, che invece comandava il nucleo radiomobile. Un atteggiamento che non si può giustificare nemmeno col timore generato dal contesto delinquenziale in cui sembra maturato.
Molto più sentita è stata l’arringa della parte civile, ovvero la famiglia di Vincenzo De Mare (in aula c’era la figlia Daniela). L’avvocato Gianni Di Pierri ha attribuito a Carbone la responsabilità di una svolta mancata nelle indagini sulla morte misteriosa dell’autotrasportatore colpito da due colpi di fucile alle spalle mentre era sul trattore, al lavoro nella sua proprietà.
L’agricoltore, infatti, sentito nel 2005 come semplice confidente si era lasciato andare a una serie di rivelazioni svelando l’esistenza di un traffico di rifiuti industriali che provenivano dal nord Italia in cui De Mare sarebbe stato coinvolto. Un traffico riscontrato – a dire del legale – dal ritrovamento nella vecchia centrale del latte di Scanzano di alcuni fusti di rifiuti. Perciò l’ipotesi sul movente del suo assassinio sarebbe stata da ricercare nel suo rifiuto di trasportare uno di quei carichi che poi andavano smaltiti in maniera del tutto illegale.
Senza sapere di essere registrato Carbone aveva indicato anche i nomi dei due possibili killer. Personaggi come lui, già noti alle forze dell’ordine per fatti diversi.
«Solo illazioni», le ha bollate l’avvocato Cantasano. «Quei fusti trovati nella centrale non contenevano altro che del grano contaminato dall’incidente di Chernobyl che veniva nascosto lì dentro. Non c’entrano traffici di rifiuti radioattivi né altro».
«Carbone ha riferito chiacchiere sentite in paese senza conoscenza diretta dei fatti solo per questo una volta di fronte al magistrato non ha detto nulla». Ha insistito il legale, che dopo la notizia della sentenza ha già annunciato ricorso in appello
Le motivazioni della decisione verranno rese note tra 90 giorni.
l.amato@luedi.it
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