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QUARANTADUE anni fa il Comune di Potenza rilasciò una concessione edilizia in una bella zona verde, Macchia Giocoli. Quarantadue anni e decine di faldoni di atti giudiziari dopo, l’esito è la sentenza del 16 aprile scorso, l’ennesima, questa volta del Consiglio di Stato, dunque presumibile pietra tombale sulla vicenda amministrativa. Per i proprietari degli appartamenti è una mannaia sospesa sui propri conti correnti: dovranno acquistare, sborsando fior di soldoni, le aree su cui sono sorti gli edifici delle loro cooperative edilizie. Aree per cui alcuni di loro avevano già dato soldi, spariti in un buco nero. I cittadini si dicono pronti a non votare alle prossime elezioni comunali per protesta.
La storia residenziale di Macchia Giocoli è edificata con carta bollata e timbri del tribunale più che con cemento e mattoni: dal primo momento la questione dei suoli – la legittimità degli espropri, la loro localizzazione e assegnazione, la destinazione urbanistica – si snoda in una teoria ininterrotta di cause. Rimbalzando fra organi giudiziari di ogni livello – tribunale, corte d’appello ma anche e soprattutto Tar e Consiglio di Stato – citazioni, denunce, ricorsi e controricorsi si affastellano.
Vi si cimentano i fratelli Giocoli, il Municipio, la giunta regionale, le cooperative, i costruttori. Già dalle prime battute all’orizzonte si profila, sempre più minaccioso (e sempre più fondato), il dubbio che alla fine a perderci sarà soprattutto una delle parti in causa: i privati cittadini. I quali hanno un solo obiettivo, più propriamente un sogno: far sì che i risparmi di una vita si trasformino nell’agognato “tetto sulla testa”.
Quando a un certo punto salta fuori lo spauracchio dell’acquisto delle aree su cui si vive oramai da anni, l’allora sindaco Vito Santarsiero propone alle famiglie una soluzione mediata con la quale chi aveva già pagato non avrebbe dovuto dare praticamente più nulla – questo raccontano oggi nel rione – mentre chi non aveva ancora dato niente avrebbe versato una somma sicuramente inferiore a quella che si chiede oggi con la sentenza del Consiglio di Stato. Non tutti accettarono, e così non se ne fece nulla.
Arriva così, nel 2011, l’atto del consiglio comunale che impone l’acquisto dei terreni ai cittadini. Segue ricorso e, nel settembre del 2012, il Tar dà ragione agli ex soci delle cooperative. Sembra la fine – per i cittadini – delle ansie e delle incertezze. Oggi, invece, la doccia gelata che ripristina l’efficacia della delibera del 2011.
A leggere il testo dell’ultima sentenza, i nodi storicamente s’ingarbugliano proprio all’inizio, nell’esproprio delle aree da parte del Comune che poi sarà giudicata illegittimo e illecito (anche se sanato pochi anni fa) e nella cessione delle aree edificabili che venne effettuata senza verificare che gli assegnatari avessero i requisiti per accedere all’edilizia popolare.
Essendo stato annullato l’atto amministrativo con cui il Comune di Potenza aveva dato il permesso di costruire, cadono anche tutti gli accordi fra le cooperative e l’ente.
Recita la sentenza: “La responsabilità dell’amministrazione comunale, accertata nei menzionati giudizi civili, nei quali infine è stata esclusa la responsabilità delle cooperative e dei soci sui modi illeciti di acquisto dei terreni, non esclude che possa risultare inficiato, per altra ragione, il rapporto tra Comune e cooperative e soci assegnatari”.
Per essere più chiari: alcuni ex soci delle cooperative assicurano che, a tempo debito, versarono le somme richieste per la concessione delle aree. Somme di cui si sono perse le tracce. Ma quando anche si riuscissero a dimostrare quei pagamenti (e consideriamo che si parla di versamenti effettuati decenni fa), oggi gli assegnatari dovranno comunque ricomprare i terreni. A caro prezzo. Si parla di decine di migliaia di euro a famiglia.
Tanto è stato stabilito a Roma il 17 dicembre scorso, tanto si è saputo avantieri a Potenza. Con comprensibile sgomento da parte di quei cittadini che pensavano di essersi oramai lasciati alle spalle i problemi. E che invece oggi se li vedono cadere addosso, di nuovo, con il fardello delle carte bollate. Molto più pesanti di cemento e mattoni.
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