X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

 

POTENZA – Si prospettano mesi difficili per Eni al centro oli di Viggiano. Gli operai e i sindacati hanno proclamato un nuovo sciopero per la fine del mese, più precisamente il 28 di aprile, confermando di fatto lo stato di agitazione. Stavolta non si incrocerà le braccia per due ore, come successo pochi giorni fa, ma per quattro ore. ma non si tratta di uno sciopero vero e proprio, riguarderà soltanto la flessibilità. Dietro questa parola ci sono diverse cose: straordinari, flessibilità oraria, reperibilità. E a maggio, se si andrà avanti così se ne farà un altro di sciopero. Il problema è che la serie di tavoli tecnici chiesti da Cgil, Cisl e Uil con Eni e Regione continuano a saltare. L’ultimo in ordine temporale era quello del 16 aprile, finito a vuoto. Ma è chiaro che Eni in questo momento è schierata a spada tratta a favore delle conquiste raccolte in un pugno di anni all’interno della struttura di Viggiano.

Pochi giorni fa in un comunicato stampa la multinazionale dell’energia ha parlato di grandi successi nel campo della sicurezza all’interno dello stabilimento, ma ha anche ribadito che sulla questione salariale, ovvero l’equiparazione degli stipendi degli operai dell’indotto a quelli del centro oli, non è di competenza della società. Insomma, non si può fare nulla almeno da questo punto di vista, anche se i sindacati la pensano diversamente. Il problema è che Eni resta comunque il committente unico di tutte le attività, anche parallele, che vengono svolte nell’area del centro oli. Qualche responsabilità, quindi, dovrebbe averla.

La questione raddoppio con l’apertura della quinta linea ha aperto il fronte sulle turnazioni, ma almeno da questo punto di vista un accordo è stato raggiunto. Quello che invece sembra preoccupare i sindacati è proprio questo continuo tergiversare. Stando alle tre sigle sindacali il continuo rinvio dei tavoli permette all’Eni di procedere con assunzioni di operai provenienti da altre regioni, lasciando al palo i lucani. Ma questi rinvii «confermano – si legge in un comunicato diffuso ieri – le differenze di trattamenti tra i lavoratori sia in tema di salute che di salario». Stando ai conti fatti dal sindacato, all’ultima protesta, quella di pochi giorni fa, ha partecipato oltre il 90% della forza lavoro occupata tra centro oli ed indotto. Dati che confermano che l’aria che si respira in quella zona è pesante in tutti i sensi.

Nessuno vuole perdere il lavoro, ma i contenuti della piattaforma sindacale approvata da Cgil, Cisl e Uil assieme ai lavoratori è l’unico documento che in questo momento cerca di fare ordine nella questione. D’altronde gli stessi lavoratori hanno ammesso che la discrepanza salariale non può più essere sopportata. C’è una lotta d’uguaglianza quindi, che parte dallo stipendio e finisce soprattutto sulla questione salute. I lavoratori, almeno oggi, non si sentono tutelati. E non è stata soltanto la fiammata registrata mesi fa a scatenare la protesta. C’è un contesto ben più allargato di sicurezza all’interno dell’impianto come tra le imprese dell’indotto che non sembra essere alla portata di quanto viene fatto a Viggiano, ovvero raffinare tutto il petrolio estratto dalle montagne. Le sigle sindacali due calcoli se li sono fatti. la spesa prevista per alzare gli stipendi è anche minima. «Basterebbe l’equivalente  di una giornata di estrazioni o l’equivalente di un terzo dello stipendio dell’amministratore delegato per assicurare redistribuzione della ricchezza e  equiparazione dei trattamenti tra tutti i lavoratori del centro olio». La battaglia continua.

v.panettieri@luedi.it

 

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE