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I guai non vengono mai da soli: dopo la grande crisi economica, siamo di fronte ad una crisi altrettanto grave di natura politica.
Il Pd lucano, ossia il partito egemone, il partito-regione, sta registrando, come vedremo fra un attimo, una vera e propria mutazione genetica, come processo di sintesi di lotte intestine, condotte con grande spregiudicatezza, violando regole e comportamenti che hanno in passato bene o male disciplinato la convivenza all’interno del partito e delle sue due anime, quella democristiana e quella comunista.
Il partito egemone non è più tale e lo dimostra l’oltre 50 per cento degli astenuti alle ultime elezioni, che non hanno votato né per Grillo e né per Pittella e trova conferma nel venir meno del consenso bulgaro registrato in passato dai candidati presidenti pro-tempore.
Il Pd è di fatto una minoranza nella regione e per giunta scarsamente compatta, predomina per pura logica numerica.
Le due sue principali correnti che lo compongono si sono confrontate non sulla base di visioni socialdemocratiche contrapposte ed alternative a quelle liberaldemocratiche, ma secondo esclusive finalità di occupazione del potere nelle diverse istituzioni (partito, ente regione, ecc.).
Vuoto pneumatico in fatto di idee forti, di visione, di progetto, di relative strategie, molto chiacchiericcio politico-mediatico, affidato a rivoluzionari in erba che ovviamente non sanno che cosa sia e come fare una rivoluzione.
Abbiamo assistito a vicende politiche straordinarie che non possono non destare qualche perplessità.
Gianni Pittella ha organizzato con tempi e mezzi consistenti una cinquantina di circoli su cui impostare la sua compagna per le europee, fidando in una deroga per la sua candidatura, avendo già svolto il mandato di parlamentare europeo per ben tre legislature, passando tempestivamente sotto la protezione di Renzi che almeno in questo caso dovrebbe dismettere i panni del rottamatore.
Il fratello presidente Marcello Pittella ha accettato di buon grado il suggerimento suggerito dal fratello maggiore di nominare i componenti della giunta regionale come esterni, quattro tecnici suoi amici, contribuendo a mettere in piedi una giunta che non ha precedenti nella storia delle regioni, commissariandola sostanzialmente.
È nelle intenzione della famiglia Pittella e dei suoi famigli di traghettare i circoli suddetti verso le strutture del Pd lucano, trasformandoli da struttura parallela al Pd ad asse portante del partito in questione, così come è loro intenzione costruire alleanze interne per la gestione del partito con la famiglia Antezza, altra forza innovatrice, intenzionata a comandare nel materano.
Siamo in presenza di uno svolgimento di potere padronale e familiare inquietante per la democrazia regionale, avanti al quale la nomenclatura che ha finora retto le sorti del Pd lucano è incapace di mostrare una qualsiasi reazione.
Alle famiglie suddette va riconosciuta grande capacità organizzativa, anche se di tipo squisitamente clientelare, e un grande fiuto nel saper valutare i possibili vincitori a livello nazionale a cui aggrapparsi, replicando consolidati comportamenti della classe politica meridionale, dettati dall’accordo tacito tra il potere centrale e quello regionale, secondo cui si portano i voti al ceto dominate nazionale, rafforzandolo, e ottenendo in cambio libertà di movimento, coperture politiche e risorse finanziarie da spendere a proprio piacimento.
In questo scenario è illusorio pensare di trovare politici che ci spieghino perché il Sud ed, al suo interno, la Basilicata versino in una secolare condizioni di arretratezza, che ci facciano capire e farci risalire alle responsabilità dei soggetti principalmente esposti nella creazione di tale disastro socio-economico. Due condizioni queste preliminari per individuare la via per superare il divario col resto del Paese.
Con le vicende prima accennate, corriamo il rischio di morire pittelliani, dopo avere superato indenni quello di morire colombiani: indubbiamente un bel salto di qualità per morire.
Coprendo gli spazi di potere con uomini fidati, presupposto essenziale per gestire in modo padronale la spesa pubblica, è chiaro che ci si blinda per decenni, potendo contare, tra l’altro, sulla vulnerabilità della società regionale, dovuta ai gravi disagi che deve affrontare per trovare lavoro sempre più scarso, per esprimere in libertà fondamentali diritti civili, per comporre un decente capitale sociale e così via.
Occupando strategiche postazione di potere politico ed istituzionale a livello nazionale e regionale, si va delineando una versione politica del familismo amorale descritto fa E.C . Banfield.
Mi auguro che sia solo una mia preoccupazione, destituita di concreto fondamento.
Ma ciò che stupisce è il silenzio assordante registrato finora da gran parte della opinione pubblica e degli addetti ai lavori (politici, intellettuali, imprenditori, sindacati, movimento cattolico, informazione, ecc.), avanti a decisioni ed eventi che, comunque li si voglia vedere, sono a dir poco sconcertanti.
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