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REGGIO CALABRIA – Quelle armi dovevano servire per un agguato in grande stile, per una cosa eclatante, che facesse rumore e servisse da esempio. Si doveva colpire un personaggio “importante”, un uomo dello Stato. Volevano ammazzarlo con tutta la scorta, in maniera eclatante. Il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho è preoccupato: «Come obiettivo non posso pensare altro che a un soggetto istituzionale sotto protezione». 

LEGGI LA SCOPERTA SUCCESSIVA DEI FORNITORI DELLE ARMI

Come, d’altra parte lo sono anche gli investigatori calabresi da tempo sanno che ‘ndrangheta è pronta a colpire in qualsiasi momento, ed ora sanno anche che le armi per un attacco frontale alle istituzione stavano per arrivare. Armi pesanti, da guerra, capaci di fare a pezzi la corazze delle macchine blindate, di sventrare lamiere. Le hanno sequestrate quelle armi. Le pattuglie della Guardia di Finanza le ha scoperte durante un normale controllo sulle strade di Rizziconi. Nel cofano della macchina di un incensurato i finanzieri hanno trovato un arsenale spaventoso. Dal bagagliaio di Marino Belfiore (di Gioia Tauro), nome sconosciuto alle forse dell’ordine, sono saltati fuori dieci kalashnikov, due mitragliette, cinque pistole con il numero di matricola punzonato e relative munizioni. Quanto basta per attrezzare un gruppo di fuoco imponente, capace di dare l’assalto a qualsiasi obiettivo. 

Non hanno dubbi i vertici della Procura di Reggio Calabria, stavano preparando qualcosa di grosso. Tra San Ferdinando, Gioia tauro, Rizziconi e Rosarno, non ci sono guerre di mafia in corso. I clan della ‘ndrangheta sono in pace tra di loro. Curano gli affari e cercano di tenere botta alle batoste prese nel corso degli ultimi anni. La Dda reggina in quell’area, come in molte altre della città e della locride, ha piazzato colpi pesanti. Le statistiche parlano di centinaia di arresti, di sequestri di beni, di secoli di carcere ed ergastoli con cui sono stati sepolti i padrini delle grandi “famiglie” dei tre mandamenti della provincia. I numeri dicono anche che i magistrati stanno intercettando grosse partite di cocaina che arrivano sulle banchie del porto di Gioia per poi finire nelle piazze di spaccio di mezza Europa. L’approdo della Piana non è più sicuro, e solo nell’ultimo quinquennio i narcotrafficanti ci hanno rimesso centinaia di milioni di euro di guadagni sicuri, di denaro cash da reinvestire nelle grandi città del nord. La ‘ndrangheta sente il fiato dello stato sul collo, e dopo un lungo periodo di silenzio in cui è prevalsa la linea del silenzio, ora inizia a reagire. Negli ultimi mesi dice il procuratore Federico Cafiero de Raho «l’attività indimidatoria è diventata sempre più forte», nel mirino sono finiti imprenditori che iniziavano ad alzare la testa, ma non solo loro. Cafiero de Raho ricorda come l’obiettivo sia stato spostato anche su esponenti delle forze dell’ordine. 

Sono tutti a rischio: Carabinieri, poliziotti, finanzieri, magistrati, apparati investigativi. Basta ricordare poi come le armi abbiano fatto fuoco contro caserme dei carabinieri e della fiamme gialle. Anche i kalashnikov hanno già sparato nella Piana di Gioia Tauro. Si contano le mitragliate contro il capannone di Nino De Masi, imprenditore sotto scorta che opera nel retro porto di Gioia, i cinquanta proiettili trovati sparsi sul pavimento dello piazzale controllo della Dogana, le sventagliate di mitra su vetrine e saracinesce, e poi lettere anonime, macchine bruciate, minacce più o meno esplicite. Uno stillicidio di episodi che servono ai clan per dimostrare che ci sono ancora e che possono far male. Solo pochi giorni addietro alle undici di sera, quando a pochi metri la gente passeggiava tranquillamente sul corso principale di Reggio Calabria, una bomba si è portato via una gastronomia inaugurata da pochi mesi. Federico Cafiero de Raho ricorda che «avrebbero potuto ammazzare qualcuno, e che è stato solo un caso se non è accaduto». Una situazione difficile la punto che il Procuratore di Reggio si augura che «vi sia la giusta attenzione da parte del Ministero dell’Interno». A questo punto per il magistrato «è indispensabile che venga convocato immediatamente da Angelino Alfano un vertice del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica».

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