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di MARIATERESA LABANCA – Non è tanto una questione di nome, quanto, questa volta, soprattutto  di metodo. Insomma, nulla di personale contro Luigi Petrone (nella foto a sinistra), il candidato sindaco che il Partito democratico ha individuato in maniera unitario per le amministrative di Potenza. Anzi. Nonostante per molti l’avvocato  rappresenti ancora un volto poco conosciuto, chi ha gli strumenti per farlo ne dà una valutazione sostanzialmente positiva. Almeno dal punto di vista umano e professionale, visto che il suo, in politica, è pur sempre un debutto. Premesso questo, è  innegabile, però, che quello di Petrone sia l’identikit di un candidato che, più che di rottura, sa di continuità. E non solo perché a sostenerlo è stato proprio l’uscente Santarsiero. Ma soprattutto perché la scelta del Partito democratico  è ricaduta su un nome appartenente a quella borghesia potentina che sembra avere a cuore soprattutto la salvaguardia di sè stessa.

La pensa così a esempio, Marco Percoco. Da Potenza è andato via una ventina di anni fa, ma da queste parti ci ritorna spesso. All’Università Bocconi di Milano è docente  di valutazione delle politiche pubbliche, oltre che economista del territorio. «Non voglio esprimere un giudizio specifico sulla persona che sinceramente non conosco. Ma sono scettico sulla possibilità che Petrone riesca a invertire la rotta di una città in declino». Percoco lo spiega così: «Ho un amico, un professionista in gamba che si occupa di urbanistica e che, per motivi di lavoro, aveva pensato di tornare a Potenza. Ci rimarrà ancora per poco, a giugno andrà via. Non fa altro che ripetermi: “Qui non si può fare niente. E’ tutto bloccato. Non c’è spazio in cui coltivare e sviluppare idee libere  e nuove”. E il peggio è che per un professionista di quel livello che va via non ne arriverà uno nuovo a sostituirlo. Perché, per com’è oggi, nessuno guarderebbe a Potenza con interesse. E’ una città difficile, molto peggiorata negli anni soprattutto, per la sua urbanistica. Con la cementificazione selvaggia delle periferie e lo svuotamento del centro storico. Dove la qualità della vita è molto bassa (e non perché lo dica una discutibile nazionale, ma perché è sotto gli occhi di tutti), con una qualità delle scuole  inferiore alla media – tanto da chiedersi perché portarci i propri figli – e senza luoghi di aggregazione. Con il tasso di rendimento degli immobili più basso d’Italia, nonostante si continui a costruire. E questo dà la misura della speculazione edilizia in atto.  Insomma, un non luogo che ha un impatto economico molto forte.

Ecco – continua il docente della Bocconi – serviva una candidatura che riuscisse a scardinare un  sistema che sta condannando la città al declino. A mio avviso sarebbe servito un profilo diverso, con competenze specifiche nel settore della politiche pubbliche  o che  avesse comunque maturato esperienze fuori regione. Soprattutto in considerazione dell’enorme deficit  che grava sulle casse comunali. Anche perché la nuova programmazione dei fondi comunitari mette a disposizione molti fondi soprattutto per le città e per il miglioramento dei servizi pubblici. Un’occasione che bisogna essere in grado di cogliere. E, invece, Petrone, a mio avviso, è stato scelto in base all’appartenenza a una famiglia». Ma Potenza non è solo dei potentini. E, per un partito,  puntare sul candidato della città capoluogo non equivale solo a indicare un nome, ma comporta precise scelte politiche. Ecco perché anche un attento analista delle dinamiche politiche lucane come Antonio Ribba, che è di Matera ed insegna Economia all’Università di Bologna, pur avendo poco a che fare con Potenza, non si esime da riflessioni: «La scelta ricaduta su Luigi Petrone  fa segnare comunque un apprezzabile elemento di novità rispetto alle dinamiche interne al Pd, che hanno contraddistinto a esempio anche le ultime regionali. La decisione di puntare su un esterno, un professionista stimato, che io personalmente non conosco  e su cui non sento quindi di poter esprimere valutazioni, è  un segnale di apertura rispetto alla strada che si poteva percorrere, ovvero imporre un dirigente di partito. Certo, la metodologia con cui si è giunti a questa indicazione lascia a desiderare. La   scelta di non fare le primarie interne, evidentemente per frenare altre ambizioni, è un’incongruenza da parte di chi in altre occasioni ne ha sostenuto l’importanza. Insomma, non è un metodo che si può invocare  a convenienza». «Personalmente, poi – continua Ribba – sono rimasto un pò deluso dallo sprint iniziale con cui da più parti sembrava arrivare la richiesta della candidatura di una donna, che invece alla fine si è completamente arenata. Così come non rappresenta un buon segnale il fatto che il candidato sindaco sia stato di fatto incoronato dal primo cittadino uscente».

E sulla chiusura alla possibilità di un sindaco giovane e soprattutto donna si dice scontenta anche la segretaria della Flc Cgil di Basilicata, Anna Russelli. Parla anche a nome del Comitato “Democrazia, Partecipazione, Genere”: «Non si capisce perché il partito non riesca a esprimere un candidato giovane, meglio se donna».

La segretaria sindacale si dice «colpita» anche dall’atteggiamento di una parte delle donne democratiche «che dopo aver denunciato la mancanza di donne in consiglio regionale, e dopo aver chiesto un’apertura alle candidate in vista delle amministrative, ha di fatto rinunciato alla battaglia sul rinnovamento, con una sorta di “delega” agli uomini del partito rispetto alle questioni di genere. Il che equivale a una negazione stessa del problema. Tutto questo, sinceramente, mi lascia molto perplessa». E in termini di chiusura alla democratica partecipazione si esprime anche la psicoterapeuta che si occupa molto di volontariato e di sociale, Antonella Amodio: «Dicendo no alla Primarie, il Pd dice no alle donne ma soprattutto alla partecipazione. E’ questo è davvero incredibile rispetto al dibattito che ha attraversato lo stesso partito. Che da una parte dice di essere favorevole alle politiche di genere, ma che, quando si tratta di passare ai fatti, fa esattamente il contrario. Così si continua a generare esclusione e ad aumentare quella scollatura tra cittadini e classe dirigente che si avverte soprattutto in città. Rispetto alle premesse iniziali, una sostanziale presa in giro».

 m.labanca@luedi.it

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