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C’ERANO anche i calabresi, secondo il racconto di pentito Gaspare Spatuzza, a spingere per una trattativa Stato-mafia. Il pentito di Cosa Nostra ha parlato a Rebibbia, nel corso dell’interrogatorio davanti alla Corte d’Assise di Palermo nell’ambito del processo sui fatti del 1992. «In carcere – ha raccontato – napoletani e calabresi attribuivano la responsabilità del 41 bis a noi palermitani». 

Erano i tempi delle stragi, degli attentati ai giudici  Falcone e Borsellino e della stagione del terrore in tutta Italia e dell’inasprimento delle pene per i detenuti della criminalità organizzata. Secondo la ricostruzione di Spatuzza, ‘ndrangheta e camorra «ritenevano responsabili del carcere duro i corleonesi e l’area stragista di Cosa Nostra». E in quella fase, il boss Graviano avrebbe detto a Spatuzza, riferendosi agli altri gruppi di malavita: «E bene che parlino con i loro padri che gli sapranno dare tutte le indicazioni dovute». Per padri, spega il pentito, «intendeva i loro capi e quindi che tutta la mafia – cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra – sono tutti partecipi di questo colpo di Stato. Lo chiamo colpo di stato – ha chiarito  – perchè noi andavamo in giro per l’Italia a mettere bombe e di certo non era per il pizzo. Allora come dobbiamo chiamarlo?».

E’ dal boss che il pentito, a fine ’93, sente dire che «c’era in piedi una cosa che, se fosse andata a buon fine, avrebbe dato benefici a tutti, in primis ai detenuti». Una frase, quella pronunciata da Graviano, che sarebbe seguita a una velata obiezione di Spatuzza all’idea di pianificare un attentato in grande stile contro i carabinieri. «Ci stiamo portando troppi morti innocenti dietro», avrebbe detto il pentito mettendo in discussione la deriva terroristica presa dalla mafia dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, quando – dice – «colpimmo la società civile». «Lo dobbiamo fare – avrebbe risposto il boss – Così chi deve smuoversi si smuove».

Le frasi sibilline del capomafia che, pochi mesi prima aveva ordinato la morte di don Pino Puglisi, il prete scomodo che contrastava i boss sul loro territorio, furono più chiare a Spatuzza qualche settimana dopo. A gennaio del ’94 il collaboratore, a Roma per organizzare l’attentato ai carabinieri allo stadio Olimpico – «doveva essere una ‘tunninà (una mattanza ndr), spiega – rivede Giuseppe Graviano. Un incontro ormai noto, quello tra i due mafiosi, che sarebbe avvenuto al Bar Doney, in via Veneto. Il capomafia di Brancaccio era felice. E soddisfatto avrebbe detto al suo braccio destro: «abbiamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie».

Un’allusione ai suoi interlocutori che non erano «come quei quattro “crasti” (cornuti ndr) dei socialisti» che prima avevano chiesto i voti e poi avevano fatto la guerra. «Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene», avrebbe detto il boss svelando poi i nomi dei suoi referenti: Silvio Berlusconi e il compaesano Marcello Dell’Utri.

 

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