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POTENZA – Il discorso sembra essere condiviso da tutti. L’investimento di Marchionne su Melfi per la costruzione della nuova jeep Renegade destinata al mercato europeo e la 500x non può che essere visto in maniera positiva. Ma certamente non sarà la soluzione definitiva per lo stabilimento, l’indotto e anche il campus di ricerca che dovrebbe essere inaugurato a luglio, porprio in occasione dell’uscita dei primi modelli delle nuove auto. Il problema vero resta sempre lo stesso. Con una sola linea occupata a produrre auto e una seconda in fase di dismissione (quella che produce attualmente la Punto e che chiuderà a dicembre 2014) il rischio di esuberi è quasi una concretezza, nonostante le speranze di Marchionne di tenere occupati tutti e 5400 operai di Melfi più una parte dei cassintegrati di Pomigliano. Dunque c’è un problema da affrontare subito, quantomeno prima di maggio, quando Fca, ovvero l’azienda nata dalla fusione di Fiat e Chrysler, presenterà il suo piano industriale. Piano che oltretutto prevede una quotazione a Wall Street.

Carmine Vaccaro nell’intervista rilasciata al Quotidiano due proposte le ha lanciate: o si aumentano i turni di lavoro a 18 ore settimanali, con un picco di 21, o si contratta con Fca o altre aziende per fare in modo che sulla linea di segmento B dismessa venga prodotta un’altra auto, non importa che sia Alfa o Mazda o nuovamente Fiat. Altrimenti si rischia e non poco.

La Cgil intanto sta lavorando al settimo rapporto sull’automotive, che dovrebbe essere pubblicato in un paio di settimane o anche meno, ma dalla discussione non si tira indietro Alessandro Genovesi, segretario regionale della Cgil. C’è un primo presupposto che va tenuto in considerazione: «Con l’utilizzo di una sola linea – dice Genovesi – qui ci potremmo aspettare stando ai nostri calcoli oltre duemila esuberi. È chiaro che non basta l’investimento che è stato fatto, ma non per questo significa che non doveva essere fatto. Il problema è ragionare, adesso, su cosa produrre anche sulla linea in via di dismissione». Diciamo che il discorso di una possibile joint venture potrebbe essere una delle due soluzioni, meno invece quello di aumentare le ore sui turni settimanali. Bisogna piuttosto capire che tipo di funzioni potrà avere il campus di ricerca.

A questo proposito abbiamo sentito l’assessore alle Attività Produttive Raffaele Liberali che ribadisce la necessità di «internazionalizzare tutta l’area dell’indotto, a partire dal campus». Tutte cose che, stando a quanto dice l’assessore, sono già in fase di discussione con la stessa Fiat. Anche l’idea stessa di sviluppare un campus di ricerca che possa essere capace di vendere i suoi brevetti con laboratori a prototipazione rapida è vista bene, ma c’è da tenere in conto una cosa. «Questa struttura – dice Liberali – la stiamo costruendo grazie ad una partnership con il centro di ricerche della Fiat, è ovvio che questo tipo di accordo dovrà andare avanti. Però allo stesso tempo bisogna discutere per uscire fuori dalla logica della committenza unica. Il nostro lavoro, così come ha ribadito Pittella nella sua relazione programmatica, è quello di puntare all’internazionalizzazione del settore. È una cosa che possiamo fare e posso assicurare che ci stiamo già lavorando». Dunque il campus è il vero perno sul quale muovere l’intero sviluppo dell’area. Genovesi su questo è ancora più chiaro: «Sul campus bisogna fare un discorso di ricerca che vada oltre l’efficienza di produzione». In effetti il progetto prevede che all’interno della struttura si studino metodi per ridurre al minimo costi, consumi e sprechi all’interno della fabbrica. «Eppure – continua Genovesi – si potrebbe lavorare sulle nuove tecnologie che effettivamente stanno facendo la differenza anche nel mondo dell’auto. Si potrebbe per esempio insistere sui progetti di efficienza energetica che non servano soltanto al mondo delle auto, nonostante a Melfi si lavori già sui motori Gpl. Diciamo che un punto importante potrebbe essere lo sviluppo delle nuove tecnologie legate ai beni di consumo, senza che per forza si tratti di tecnologia destinata all’auto. In questo modo si potrebbe anche pensare di tenere bassi i turni di lavoro. Un esempio lampante è quello della Mercedes con 12 ore di turni. L’importante è capire quanto può essere appetibile un marchio, vedere se si venderanno e investire sulla ricerca nelle nuove tecnologie». Insomma, un punto di partenza c’è ed è solido, ma la contrattazione deve comincia re da ora.

v.panettieri@luedi.it

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