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POTENZA – Nell’acqua di Tito non ci sono più idrocarburi.
O meglio, se ci sono non possono essere rilevabili perché «al di sotto della soglia di rilevabilità». Starebbe a dire particelle così infinitesimali che neanche gli strumenti riescono a rilevarli. Di contro però l’acqua non è potabile perché contiene valori leggermente superiori alla norma di trialometani.
Dietro questa dicitura si nascondono diversi composti comunemente noti come fluoroformio, clorodifluorometano, diclorobromometano, clorodibromometano, iodoformio e bromoformi. Tutti nomi che non dicono quasi nulla eccetto per il cloroformio, sostanza notoriamente cancerogena ma di largo uso specialmente nei laboratori.
Come ci sono arrivate? Si tratta di scarti della clorazione dell’acqua. In pratica quando il cloro reagisce con le sostanze organiche e inorganiche naturalmente presenti nell’acqua produce questi residui. Siccome a Tito è stata superata la soglia dei 30 microgrammi per litro di 4-5 punti è stato deciso di sospendere l’erogazione idrica nei territori interessati. Ma sono tutti valori che, stando a quanto detto ieri nella conferenza stampa in Regione, vanno verso la normalizzazione.
Quindi tra qualche giorno il sindaco di Tito potrà revocare l’ordinanza e rimettere le cose a posto. Il nodo della vicenda sta tutto qui, e a dirlo sono stati tutti. Vale a dire il tris di direttori dell’Asp, Mario Marra, dell’Arpab, Raffaele Vita, e di Acquedotto lucano, Gerardo Marotta, più il sindaco di Tito, Pasquale Scavone.
Nessuno però riesce ancora a capire da dove possano arrivare questi idrocarburi. Raffaele Vita per esempio ha spiegato che dagli 11 punti di campionamento utilizzati non è emerso nulla di rilevante, almeno dal punto di vista degli idrocarburi. D’altronde la situazione legata alla presenza dei trialometani dovrebbe esser e un risultato di una eccessiva clorazione dell’acqua.
Marotta dal canto suo ha difeso l’operato di Acquedotto Lucano e in relazione ai trialometani ha parlato di «controlli di routine, che spesso rimangono “nascosti” al pubblico. In genere quando rileviamo dati del genere si prevede una sospensione della fornitura fino alla normalizzazione».
Peraltro sono parametri così «bassi» in ogni caso che non ci sarebbe nulla da preoccuparsi. C’è una legge, la numero 31 del 2001, che stabilisce proprio i parametri per le sostanze da esaminare e le quantità massime.
E sugli idrocarburi si fa riferimento soprattutto a due elementi: il benzene e gli ipa, ovvero gli idrocarburi policiclici aromatici. E nell’acqua di Tito rassicurano, non ci sta traccia di queste sostanze. In questo caso molte regioni hanno chiesto deroghe per poter comunque fornire acqua con livelli di trialometani che superavano di gran lunga i 50 microgrammi per litro. «Noi invece – dice Marotta – non abbiamo mai chiesto deroghe, simao sempre stati nella norma».
Questo però non significa che non ci saranno ulteriori verifiche, tutto questo partendo dal presupposto che nessuno dei tre direttori dimostra di dare fondatezza alle analisi dei privati, in primis il direttore dell’Arpab, che sottolinea come in alcuni di questi fogli stampati da studi privati ci siano dati «impossibili, valori oltre i 300 microgrammi, cose mai viste». Intanto la questione idrocarburi non sembra risolta: nessuno sa da dove arrivassero e soprattutto per quale strana coincidenza lo studio privato si fosse trovato al momento giusto nel posto giusto.
È anche vero che Al è responsabile della fornitura fino al contatore, poi lì potrebbero esserci contaminazioni di tutti i tipi, quindi si potrebbe pensare che il problema stia nelle tubature di quelle due abitazioni. Intanto a Tito già da ieri Al ha messo a disposizione un’autobotte da utilizzare nelle zone dove l’acqua l’ordinanza è attiva, ovvero tutta l’area rifornita dal serbatoio Neviera.
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