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LAVELLO – DONATO è uno degli  ultimi ortolani di Lavello, alle porte del paese coltiva in modo assolutamente biologico cicorielle “selvatiche”, bietole, cime di rapa, zucchine, ed alcune specie di frutti antichi dal sapore ormai inesistente nella frutta moderna. Quando l’ho incontrato pochi giorni fa aveva appena finito di piantare “lupi” di fico bianco, il cui prodotto, una volta ben secco, viene riempito con una mandorla tostata a formare quella che chiamiamo “la feic  cù frott “.

Sull’altra sponda del torrentello di valle cupa, che fende e feconda il suo orto, alleva virgulti di prugne a coscia di donna, nati spontaneamente intorno alle piante madri, che dirada solo quel tanto che basta perché non si intreccino e non si soffochino.

Gli chiedo se avesse realizzato un pozzo, presumendo che d’estate la scorta d’acqua del torrentello non potesse essere sufficiente a soddisfare le esigenze sue e dei suoi vicini e lui quasi meravigliato della domanda, mi porta a vedere la sua “pescara”. Nella contrada macchiarulo, mio nonno, z’ Vitantoni’ Pasciacchidd, questo il suo soprannome, ne aveva una nella vigna ,così come ce l’aveva nel fondi di Fontana Annatoli, subito più in là della zona verso la quale Lavello si sta espandendo.

Da bambino, quando lo seguivo a piedi oppure ‘ngropp a la ciuccuaredd” fino alle varie vigne, dalle quali tornavamo con la bisaccia sul basto (u ‘mmast), bilanciata con due grandi panieri pieni di ogni specie di frutta, erano solo queste le pescare che conoscevo e da allora avevo quasi dimenticato persino il termine dialettale, la pscar. Le funtanedd, quelle sì, me le ricordavo, soprattutto quelle che incontravo nel tragitto che portava ai terreni di famiglia: la funtana nova, la funtana frabbcat,  se andavamo verso il Bosco delle Rose,  funtana tumej,funtana ceras se invece andavamo verso la Vrrascin.  Nei pressi delle zone umide di queste fontane, a sera le “catcatasce”, le lucciole, illuminavano festose il nostro cammino.

Vedere una pescara a distanza di tanti decenni mi ha affascinato ed emozionato, vederla e vedere come la sua funzione è ancora quella della mia infanzia e sicuramente quella di centinaia e centinaia di anni addietro: una vasca artigianale fatta con molta cura, in mattoni o in pietra, che raccoglie l’acqua di una piccola vena, utilizzata poi per irrigare, per bere e per rinfrescarsi.

Donato, vedendo la mia curiosità, mi ha spiegato poi che solo in quella zona ,a monte ed a valle del piccolo corso d’acqua, ce ne sono a decine, a varie quote delle due sponde, dato che la zona è ricca di acque sorgive,ed allora ho toccato con mano che effettivamente una delle possibili e più probabili origini del nome Lavello derivi da Labellum, abbeveratoio. Ho ripensato allora che pur nelle grandi calure estive tipiche del nostro paese, quando tutto il giorno lo si passava nei campi per i lavori di mietitura, trebbiatura ed aratura, bastava fare un breve percorso a piedi e tornavi col recipiente, “ u cecen” pieno di acqua fresca.

Salutato Donato, Pietro Serra ed io, sempre con le nostre inseparabili macchine fotografiche, riprendiamo il cammino alla ricerca di asparagi ed immagini e, ormai decisamente incuriositi, anche a caccia di antiche pescare, facendoci strada fra rovi ed aggirando orti e ruscelli, senza una meta ,come si fa quando si va alla ricerca di quello che la natura offre.

Un rigagnolo che scende dal versante est del vallone di valle cupa, di fronte a Lavello, attira la nostra attenzione: dove c’è un rigagnolo, ormai lo abbiamo ricordato, potrebbe sicuramente esserci un’opera dell’uomo costruita per accumulare il prezioso liquido, e così ci inerpichiamo seguendo l’acqua, poco più di umidità, veramente, fino ad arrivare proprio ad un’altra bella pescara, sovrastata da un grandissimo alloro.

La vasca è piena, ben tenuta,non come quella che avevamo visto dopo aver lasciato Donato, che era ormai scomparsa sotto cumuli di terra e rovi, segno di  definitivo abbandono. No, questa è viva, l’acqua esce a valle dalla cannuccia sempre fresca e limpida ,dopo essere entrata dall’altro lato della vasca, quello a monte, ma…

Ma subito a monte della vasca, quasi attaccata ad essa, a pochissimi metri di distanza, c’è un’ antica costruzione, una casa a due piani, e, cosa strana, l’acqua sembra uscire proprio dal grande ingresso ad arco di mattoni, sembra nascere da lì, dato che ai lati della casa il terreno è asciutto. Aggiriamo la vasca ed entriamo davvero incuriositi, muovendoci nel fango, attirati da quella che sembrerebbe essere una seconda stanza più interna, buia, alla quale si accede da un varco in pietra e mattoni intonacati e invece si rivela essere…una vasca, una piscina, una pscar al piano terra della casa, dentro questa casa!

Uno spettacolo affascinante si offre ai nostri occhi che, ancora disabituati al buio improvviso, hanno bisogno  dell’aiuto di ripetuti flash per ammirare la bellezza, il fascino, quasi la sacralità del luogo: un pavimento liquido, dolce, placido, creato dall’acqua che, oltre a sgorgare cantando la più dolce melodia del mondo, il pling pling delle gocce d’acqua,  sorge da ogni dove, a partire dalla parete di fronte, costituita da un grande masso sul quale troneggia un bellissimo rivestimento di  piccole stalattiti.

Non avevo mai visto nulla del genere. Quanti tesori naturali nasconde Lavello, quanti tesori naturali, o costruiti e lasciatici dai nostri avi mostra Lavello, quanti tesori che  non sappiamo riconoscere, apprezzare, conservare e valorizzare!

*presidente sezione Vulture Alto Bradano di Italia Nostra

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