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VIBO VALENTIA – Nuovo terremoto giudiziario in Calabria con un ennesimo blitz che va a colpire direttamente al cuore delle istituzioni. Poliziotti infedeli, toghe colluse, avvocati in odor di mafia. Ma anche boss e picciotti della ‘ndrangheta che tutto possono su un territorio ostaggio della criminalità organizzata. C’è tutto questo nelle carte dell’inchiesta sfociata nel blitz che ha messo a soqquadro il vibonese, con scosse telluriche che hanno fatto vacillare anche palazzi apparentemente inviolabili. In campo i segugi della Squadra mobile di Catanzaro, al comando di Rodolfo Ruperti, che, dietro la regia del procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli (affiancato dal sostituto procuratore Simona Rossi), hanno raccolto tutti i tasselli utili a portare al traguardo una costola della più nota inchiesta “Purgatorio”, che aveva coinvolto alcuni magistrati in servizio presso la stessa Dda di Catanzaro. Ma “la giustizia è uguale per tutti”, aveva proclamato a gran voce appena ieri il procuratore Borrelli, illustrando i dettagli dell’operazione che ha sgominato un traffico di droga alla “Catanzaro bene”. Oggi i fatti, con l’operazione che farà tremare la cosiddetta “zona grigia”, disinvoltamente a braccetto con la temibile cosca Mancuso di Limbadi.
LEGGI LA RICOSTRUZIONE DELL’OPERAZIONE
Nell’operazione dei carabinieri del Ros e della squadra Mobile di Catanzaro sono finiti l’ex capo della squadra mobile di Vibo Valentia Maurizio Lento, l’ex vice dello stesso ufficio Emanuele Rodonò e l’avvocato Antonio Carmelo Galati, difensore dei Mancuso di Limbadi. I funzionari sono accusati di concorso esterno e il legale di associazione mafiosa
Lento, attualmente, prestava servizio alla Questura di Messina, mentre Rodonò era al reparto mobile di Roma. I due funzionari sono stati arrestati dalla squadra mobile di Catanzaro. I carabinieri del Ros hanno invece fermato l’avv. Galati. L’inchiesta che ha portato ai tre arresti è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Secondo le attività investigative, i due funzionari della polizia avevano rapporti con l’avv. Galati, legale di alcuni degli esponenti di spicco della cosca Mancuso di Limbadi, al quale avrebbero fornito informazioni su indagini in corso. I due non lavoravano più a Vibo da tempo.
IL POLIZIOTTO INFEDELE – C’è anche un poliziotto, Antonino Wladimiro Pititto, 44 anni, di Vibo Valentia, in servizio nella locale Questura, fra gli indagati nell’operazione della Dda di Catanzaro.
Nei confronti di Pititto, la Dda aveva avanzato al gip una richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficiale, ma il giudice ha disposto l’interrogatorio dello stesso indagato fissato per domani alle ore 10.30 dinanzi allo stesso magistrato distrettuale Abigail Mellace. Il poliziotto è accusato di rivelazione di segreti d’ufficio in quanto, secondo la Dda, fra il 2009 ed il 24 febbraio 2011 avrebbe riferito all’imprenditore ed ex consigliere provinciale di Vibo, Aurelio Maccarone, dell’esistenza di un’informativa di reato a carico di un componente della famiglia Maccarone redatta dal Gico della Gdf di Milano. Aurelio Maccarone è lo zio di Antonio Maccarone arrestato nel marzo dello scorso anno per associazione mafiosa insieme al genero Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, nell’ambito dell’operazione antimafia “Black money”.
IL RUOLO DELL’AVVOCATO – Gli elementi emersi durante le indagini dimostrano come l’avvocato Antonio Carmelo Galati ha “apportato alla cosca Mancuso, in modo stabile e continuativo, una molteplicità di contributi che ne hanno amplificato la forza intimidatoria e le concrete capacità operative, intensificando la sua posizione di egemonia e comando sul territorio”. E’ quanto scrive il gip distrettuale di Catanzaro, Abigail Mellace, nell’ordinanza di custodia cautelare.
La più “grave delle condotte commesse dall’indagato – scrive ancora il gip Mellace – è quella che al contempo involge le responsabilità dei dirigenti Lento e Rododò consistita nell’avere svolto, in modo lucido e consapevole, uno stabile ruolo di collegamento fra i più importanti esponenti della cosca mafiosa dei Mancuso e i dirigenti della Squadra mobile vibonese. Il legale, grazie all’evidente illecito accordo con gli organi competenti della Questura di Vibo Valentia, si è attivato, anche al di fuori di un qualsivoglia contesto difensivo (tanto dimostra la sua disponibilità in favore della cosca ad ampio raggio), per impedire la trasmissione all’autorità giudiziaria di un reato già commesso”.
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