1 minuto per la lettura
Come Arisa, voglio essere anch’io “Controvento”. Non m’importa di passare per out, passatista, fuori moda, ma a me il Festival di Sanremo mi piace. A prescindere. Poco importa se a presentarlo c’è Fazio o l’eterno Baudo, se le vallette sono capaci o no di pronunciare almeno una frase di senso compiuto, se le canzoni sono belle o brutte. Io di Sanremo non riesco a perdermene neanche uno. Sarà perché in fondo non ho mai rinunciato ad essere bambina, ma questo rutilante carrozzone io lo adoro.
Vuoi mettere il piacere di starsene comodamente a casa, con il pigiamone di flanella e le pantofole di nonna Papera, in attesa dell’imprevisto, della gaffe del conduttore o della stecca del cantante famoso? E la goduria di potersi ergere a giudice inflessibile di tutto e di tutti, sparlare allegramente degli abiti, delle pettinature, della scenografia, dei fiori che non ci sono o sono troppo pochi?
Se poi, come in questa edizione, sul palco dell’Ariston, tra una canzone e l’altra, c’è posto per un balletto della mitica Raffa, una coreografia delle inossidabili Kessler e un paio di tocchi di manzo come il nostrano Santamaria e il tartarugatissimo Armin Zoeggler, il Festival è meglio del Luna park. E io, in barba allo snobismo di facciata, a farmici un giro proprio non ci rinuncio.
Che in Italia già stiamo inguaiati, se ci togliete pure le canzonette è davvero la fine!
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA