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TERRITORI disseminati di scorie e rifiuti speciali, inquinati senza alcun controllo. La Calabria è anche questo ed ogni giorno si scoprono “situazioni pericolose”, capaci di incidere sulla salute e sulla qualità dell’ambiente. Accade a Crotone, dove una nuova perizia evidenzia i rischi del conglomerato idraulico catalizzato. Così come accade a Tortora (Cosenza), dove si scopre che per anni un’azienda ha smaltito rifiuti speciali e non, persino di aziende non calabresi, come l’Ilva di Taranto.
Due spaccati di una regione in ginocchio rispetto alle tante ferite sul sistema ambientale.
A Crotone la bomba ecologica Cic (conglomerato idraulico catalizzato), la scoria proveniente dal ciclo di lavorazione dell’ex Pertusola con cui a Crotone furono costruite case, scuole e strade, doveva essere stata disinnescata dal gup Gloria Gori che nell’ottobre 2012 prosciolse 45 imputati di disastro ambientale, avvelenamento delle acque e smaltimento illecito di rifiuti, sentenza confermata nel giugno 2013 dalla Cassazione.
Ed invece, cromo totale, arsenico, zinco, piombo cadmio e altri veleni superano di gran lunga la concentrazione della soglia di contaminazione. Al Comune sono giunte le conclusioni del laboratorio Tecnoparco Valbasento, incaricato per lo svolgimento delle analisi di parte nell’ambito del piano di caratterizzazione, il cui avvio era stato sbandierato ai quattro venti come il primo passo della bonifica. I dati confermano le osservazioni dell’Arpacal – note da quasi un anno – su campioni di terreno e acque sotterranee prelevati nell’agosto 2012 presso i 18 siti inquinati che furono sequestrati nel settembre 2008 (e successivamente dissequestrati) nell’ambito dell’inchiesta Black Mountains.
Dai campioni esaminati viene fuori che non c’è un solo sito che non presenti valori superiori ai parametri suggeriti da linee guida ministeriali e Istituto superiore di sanità. Il Comune intanto ha trasmesso i dati al ministero dell’Ambiente per la successiva validazione. I risultati analitici si riferiscono, tra l’altro, a due scuole di Crotone, al piazzale della Questura, alla banchina di riva del porto commerciale, ad alloggi Aterp, persino a un centro per anziani a Cutro, Villa Ermelinda, ubicato a due passi da un’altra scuola.
Stesso allarme, seppur per motivi diversi a Tortora. Dove un filo sottile lega la Calabria alla Campania e alla Puglia ed è una scia di veleni. La battaglia contro un possibile (ipotizzato anche da un’inchiesta giudiziaria) inquinamento di aria, acqua e terra porta la firma di un sindaco, Pasquale Lamboglia. No, non si tratta di impianti per i rifiuti solidi urbani (obbligatori, anche se si fa la differenziata), ma di un fiume, il Noce, che è nel Comune di Tortora, a confine tra la Basilicata e la Calabria, una cittadina ridente, minuta, soleggiata, che affaccia sul Tirreno e brulica di turisti nella bella stagione. Il fiume è un incanto, limpido, in apparenza, in realtà proprio lì vicino c’è un impianto dove fino al 24 gennaio scorso si è scaricato di tutto, anzi per la precisione (secondo il registro delle attività) si sono smaltiti 71 milioni di tonnellate di percolato da discarica, 89 tonnellate di rifiuti anaerobico, 238 tonnellate di fanghi prodotti da acque reflue industriali, 3.711 tonnellate di fanghi da fosse settiche, cinquemila tonnellate di sostanze ossidanti, tra soluzioni e fanghi, feci di animale e letame si arriva a scaricare 82 milioni di tonnellate di immondizia, in un anno.
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