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POTENZA – Ha negato di aver chiesto voti al boss l’ex deputato Gianfranco Blasi, interrogato ieri mattina a Potenza nell’ambito del processo Iena2 sulle infiltrazioni della mala potentina nell’economia e gli appalti di mezza regione.
Il suo interrogatorio è durato 3 minuti minuti, giusto il tempo per rispondere a una domanda del pm e una del difensore di Renato Martorano, a lungo considerato il massimo esponente della ‘ndrangheta in Basilicata, e una del pm.
«Conosco Renato Martorano da età prima che giovanile – ha spiegato Blasi ai giudici del collegio presieduto da Aldo Gubitosi – perché abitavamo nello stesso quartiere in un periodo che corrisponde all’inizio degli anni ‘60. Poi l’ho incontrato casualmente se non ricordo male nel 2001»
Quanto alla possibilità insinuata dal pm Francesco Basentini che abbia goduto del sostegno elettorale di Martorano Blasi ha replicato che sarebbe stato «disdicevole».
«I voti vanno chiesti attraverso i comizi, attraverso gli incontri attraverso valutazioni culturali comuni. E questo vale per Martorano come per chiunque altro. Comunque non l’ho fatto».
A domanda dell’avvocato Enzo Falotico, Blasi ha negato anche di aver mai ricevuto pressioni da Martorano per lavori, favori o altra utilità.
Nell’udienza di ieri oltre all’ex deputato di Forza Italia Gianfranco Blasi era presente come testimone anche l’ex consigliere regionale di Patto Segni-Liberaldemocratici Agostino Pennacchia, nonché cognato dell’allora direttore generale del Crob Teodosio Vertone, ma i giudici col consenso delle difese hanno deciso di acquisire il verbale del suo interrogatorio di garanzia.
Infatti, a novembre del 2004 sia lui che Blasi erano stati destinatari dell’ordinanza di misure cautelari firmata dal gip Alberto Iannuzzi, su richiesta dei pm Henry John Woodcock e Vincenzo Montemurro. Ordinanza che in seguito sarebbe stata annullata dal Riesame, avviando le loro posizioni verso l’archiviazione in archivio.
Solo Vertone risulta ancora tra gli imputati per aver agevolato una ditta di pulizie in servizio al Crob in cambio di alcune assunzioni, più«una squadra per pulire e mettere in ordine la sua casa in campagna», e un non meglio precisato «pacco-regalo».
Quasi dieci anni più tardi il processo segna ancora il passo in primo grado, e ieri è stato rinviato al 3 marzo per decidere sulla prescrizione di vari capi d’imputazione, nonostante diversi tra gli avvocati abbiano annunciato l’intenzione di rinunciarvi per avere una sentenza di assoluzione nel merito.
Martorano, invece resta recluso a regime di 41bis, dove sta scontando una condanna a 14 anni per usura ed estorsione aggravate dal metodo mafioso.
Ieri sono stati anche acquisiti nel fascicolo del dibattimento alcuni verbali di due collaboratori di giustizia, il melfitano Alessandro D’Amato e il potentino Antonio Cossidente.
D’Amato ha parlato a lungo con gli inquirenti dei rapporti di Martorano con i clan del Vulture, sia gli storici alleati del gruppo Di Muro-Delli Gatti, che i rivali “del castello”, ossia i fratelli Cassotta, più vicini ai vecchi basilischi.
Ma il grosso delle dichiarazioni acquisite sono quelle di Antonio Cossidente, l’ex boss della calciopoli e dei rapporti tra mala e politica, per cui sono imputati anche l’ex presidente della giunta regionale Agatino Mancusi e l’ex consigliere regionale Luigi Scaglione.
Probabile quindi che alla prima occasione il pm chieda di sentirlo come testimone anche in questo processo.
l.amato@luedi.it
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