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POTENZA – Due monsignori, sei sacerdoti e un un seminarista. Gli operai che hanno scoperto il corpo. Il questore e i poliziotti che si sono occupati sul caso. Più i tecnici del Ministero che nel 1996 hanno coordinato i lavori nel sottotetto della chiesa, quando nessuno si è accorto del cadavere di Elisa Claps, nonostante vi fossero arrivati soltanto a pochi passi.

Sono alcuni dei testimoni che verranno sentiti a Potenza nel processo per false dichiarazioni in cui sono imputate Margherita Santarsiero e Annalisa Lo Vito, madre e figlia, le due donne delle pulizie della Santissima Trinità.

Ieri mattina la prima udienza del dibattimento è stata rinviata subito di un mese, al 4 marzo, a causa di un ritardo nella spedizione del fascicolo del giudice di Salerno, che a ottobre ha stabilito la competenza del Tribunale del capoluogo lucano.

Le carte, infatti, sono arrivate soltanto poco prima della lettura dell’appello in aula, e il magistrato che dovrà decidere del caso non ha potuto far altro che rimandare tutti a casa.

In tutto tra i testi indicati dal procuratore reggente Laura Triassi, e dalle due difese, quella delle due imputate, e quella della famiglia Claps, si parla di una trentina di persone.

Tra gli uomini di chiesa spiccano il vescovo di Potenza, Agostino Superbo, e l’ex rettore del seminario Paolo Ambrico assieme ai sacerdoti sono avvicendati nella chiesa della Trinità dal 2008 al giorno del ritrovamento nel sottotetto del corpo della studentessa “scomparsa” il 12 settembre del 1993.. Con loro la difesa di Margherita Santarsiero e Annalisa Lo Vito ha chiesto di sentire anche Rocco Galasso, responsabile del centro culturale Newmann, ospitato da sempre nei locali della canonica.

Il questore di Potenza, Romolo Panico, sarà chiamato a testimoniare su una conferenza stampa concordata con monsignor Suberbo dopo la scoperta di Elisa e in seguito annullata.

Poi ci sono gli operai della ditta Lacerenza di Avigliano che hanno chiamato per primi la polizia dopo essere saliti nel sottotetto per riparare un’infiltrazione d’acqua.

Quindi ancora l’ingegnere Ruggiero Genovese e i geometri Domenico Pace e Michele Latella, che nel 1996 sono stati incaricati dal Provveditorato alle opere pubbliche di seguire i lavori di rifacimento del tetto della chiesa della Trinità.

Antonio Lo Vito è il marito di Margherita Santarsiero, e il padre di Annalisa, che il giorno che è arrivata la polizia avrebbe confidato di aver scoperto settimane prima il corpo di Elisa a Giovanni Antonio Salvia e Raffaella Palladino, un’impiegata nello studio dell’avvocato Luigi Petrone.

Infine c’è Gildo, il fratello maggiore di Elisa, che non ha mai smesso di cercare la verità su quanto accaduto alla sorella, anche dopo che il suo corpo è tornato alla luce.

«In questo processo vogliamo dimostrare che la scoperta del cadavere di Elisa è avvenuta nel 2008 subito dopo la morte di Don Mimì Sabia, quando vennero portati via dalla chiesa alcuni vecchi mobili».  E’ quanto ha dichiarato ieri mattina uscendo dall’aula Giuliana Scarpetta, il legale dei Claps, che si è detto molto più fiducioso dopo la telefonata di Papa Francesco a Filomena Iemma, la madre di Elisa.

«Anche noi vogliamo che emerga la verità». Le ha replicato a distanza Maria Bamundo, difensore delle due donne delle pulizie, che in pratica ha chiesto di sentire quasi tutti i testi indicati dalla famiglia della studentessa uccisa il 12 settembre del 1993, per cui la Corte d’appello di Salerno a già condannato a 30 anni per omicidio Danilo Restivo.

«Siamo concordi su questo punto con i Claps, che non abbiamo nessun interesse a tener fuori dal processo, anzi». Ha ribadito l’avvocato Bamundo.   

Margherita Santarsiero e Annalisa Lo Vito, sono accusate di aver mentito, negando di essere salite a febbraio 2010 nel sottotetto della chiesa, dove avrebbero riconosciuto il corpo di una ragazza, e di averlo riferito al viceparroco don Wagno Oliveira e Silva. Con quest’ultimo le due signore sarebbero andate una seconda volta nel sottotetto per mostrargli la loro scoperta.

Il sacerdote ha ammesso di aver constatato la presenza di un cranio. Ma la segnalazione di quel ritrovamento, prima al vescovo e poi alla polizia, è arrivata soltanto dopo il marzo. D’altra parte, anche monsignor Superbo ha spiegato di non aver compreso subito fino in fondo l’antefatto che gli era stato appena riferito. «Io capii “ucraino” e non “cranio”». Questa la versione del vescovo, che ai pm ha raccontato che a distanza di 24 ore di fronte alla gravità della situazione è andato a parlare con il questore, e ha consigliato al viceparroco di raccontare tutto alla polizia.

Secondo i magistrati salernitani che hanno coordinato le indagini sull’omicidio e sul ritrovamento del corpo di Elisa, il racconto di don Wagno riguardo al primo avvistamento del cadavere sarebbe dunque credibile.

Mentre ai ripetuti dinieghi delle due donne delle pulizie sul fatto di essersi recate nel sottotetto della Chiesa è seguita l’iscrizione di entrambe nel registro degli indagati per false dichiarazioni.

Nella prossima udienza verranno riproposte le richieste di prova delle parti, su cui il giudice dovrà decidere subito, assieme alla costituzione di parte civile dei familiari di Elisa, già accolta a Salerno ma reiterata anche ieri mattina.

l.amato@luedi.it

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