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POTENZA – «Non sono io quella persona di cui parlano i giornali. Nella vita sono sempre stata parsimoniosa, e quello che possiedo l’ho acquistato lavorando tutto il giorno come lavoro ancora oggi. Non è vero che nella mia stanza entravano solo i grandi contribuenti. Tutti mi chiedevano consigli e io li aiutavo per un fisco giusto, per dimostrare che anche in ufficio c’erano persone competenti, capaci di capire i loro problemi».

Non trattiene le lacrime Lucia Muscaridola il giorno dopo il decreto del gup Tiziana Petrocelli che l’ha rinviata a giudizio con l’accusa di corruzione assieme ad alcuni dei più noti imprenditori del capoluogo.

Il suo incubo è iniziato 3 anni fa, quando i militari della Guardia di Finanza hanno bussato alla porta di casa sua per la prima volta con un mandato di perquisizione. A luglio del 2011 è stata arrestata ed è  rimasta ai domiciliari per  3 mesi, anche  in concomitanza del periodo di sospensione dei termini   dal 1 agosto al 15 settembre.  Nel frattempo, da Capo Settore Controlli e Capo Ufficio ad interim dell’ufficio Controlli dell’Agenzia delle entrate di Bari, è stata privata del suo incarico, e poi licenziata. Nonostante proprio il giorno prima del suo benservito il Tribunale del riesame l’avesse rimessa in libertà per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza , dopo averle restituito i beni finiti sotto sequestro per aver ampiamente dimostrato la liceità del loro possesso.

«Sono stata detenuta ingiustamente e se il gup mi avesse prosciolto avrei fatto valere subito le mie ragioni». Spiega “Lady Fisco” nello studio del suo difensore, l’avvocato Tuccino Pace.

Detesta il nomignolo che le è stato affibbiato, ma è anche con questo che deve fare i conti, oltre alle accuse che le rivolge la Procura della Repubblica di Potenza.

«Avrei potuto chiedere di essere reintegrata nel mio vecchio posto di lavoro, ma dopo questa decisione non mi riprenderanno mai, e in più le persone penseranno ancora che se sono benestante è perché ho rubato». Commenta amara. «Invece ho solo investito i soldi ereditati da mio marito, la sua liquidazione per la morte prematura, i frutti dei sacrifici per il lavoro svolto, e quelli delle polizze che aveva stipulato prima di morire».

A  maggio con lei dovranno comparire davanti al Tribunale di Potenza alcuni dei più noti imprenditori del capoluogo. Con qualcuno di questi Lucia Muscaridola nega di aver avuto qualsiasi tipo di rapporto, sia a livello personale che d’azienda. Per esempio Antonio Giubileo, titolare dell’omonimo hotel immerso nel verde della foresta di Rifreddo. Le Fiamme gialle hanno intercettato un colloquio tra Giubileo e il suo commercialista, Rocco Tramutola, che di fronte a una cartella esattoriale da poco meno di mezzo milione di euro gli dice di dover parlare con una signora che in quel momento era in ferie, e poi pronuncia la fatidica frase “meglio feriti che morti”. Meglio pagare qualcosa all’esattrice infedele che chiudere bottega, hanno tradotto gli investigatori.

«Non so davvero di che parlano». Replica l’ex capo dell’ufficio accertamenti dell’Agenzia delle entrate. «Non mi sono mai occupata di quella situazione, e se mia figlia nel 2008 è stata ospitata per tre giorni al Giubileo senza pagare, durante gli esami di Stato per l’abilitazione forense, è perché non c’erano più stanze. E’ stata sistemare alla buona nell’alloggio di Giubileo in persona che era anche molto freddo. Non avrei mai pensato che qualcuno potesse accusarmi di corruzione per questo».

Diverso il rapporto con Gaetano Tucci, e soprattutto Antonietta Albini, a cui sarebbe stata legata da un rapporto di amicizia di lunga data. «Da quando siamo state accusate abbiamo troncato ogni relazione, ma le nostre figlie sono andate anche al liceo assieme. Il pm dice che sarei intervenuta per accelerare la liquidazione di un rimborso Iva a una ditta che era creditrice di una società sua e del marito, ma si tratta di un equivoco. Sì, mi sono informata sulla questione, ma l’ordine delle liquidazioni è rimasto inalterato. Così pure l’interpello sull’accatastamento di alcuni immobili di proprietà dell’impresa a Tito. E’ vero, dopo che Antonietta Albini mi ha detto come stavano le cose, ne ho parlato in toni confidenziali con il collega che se ne stava occupando. Gli ho detto di evitare brutte figure all’ufficio, quelle cose lì.. Lui però si è rimesso alla direzione regionale, e la conferma che avessi ragione io l’ha avuta da loro. Nel mio computer hanno trovato copia di un’istanza di rimborso Irpef avanzata dal gruppo Albini nel 2004 all’Ufficio delle entrate di Potenza. All’epoca io lavoravo già da 3 anni alla Direzione regionale quindi potevo farci poco o nulla, ma me l’hanno fatto visionare per sapere a chi dovevano depositarla. Ora mi accusano che per ricompensa avrei pagato l’appartamento in via San Remo intestato a mia figlia a un prezzo inferiore a quello di mercato, dato che chi stava al piano terreno l’ha pagato di più. E il giardino annesso di 90 metri quadri? Perché non l’hanno considerato? Il mio appartamento è di soli 60 metri quadri e non ce l’ha. In più noi eravamo già in trattativa quando il palazzo era ancora sulla carta, mentre gli altri hanno comprato in fase di ultimazione».

Qualcosa di simile sarebbe avvenuto anche con Mimì De Vivo e Michele Pergola. Nei nastri delle Fiamme gialle sono finite alcune espressioni molto “confidenziali” e gli inquirenti ne hanno dedotto l’esistenza di un patto di “consulenza fiscale” che avrebbe avuto come contropartita lo sconto su un appartamento acquistato nel “parco” di Santa Maria e l’installazione di un costoso sistema antifurto.

«Quando è stato sottoscritto il compromesso per l’acquisto ero ancora in servizio a Melfi – replica la Muscaridola – e se n’è occupato personalmente mio marito. Io non sapevo nemmeno chi fossero il signor De Vivo e i suoi soci. E avrei pagato per intero il costo di installazione dell’antifurto se non fosse che subito dopo l’ultimo intervento dei tecnici mi è arrivato l’avviso di garanzia per quest’indagine che era in corso e ho interrotto tutti i contatti con la ditta per evitare di essere accusata di inquinare le prove. Nelle intercettazioni mi metto a disposizione per risolvere i loro problemi né più né meno di come facevo con tutti in ufficio. Era un fatto notorio, come la politica dell’agenzia che era di diffondere la “tax compliance” con il contribuente».

Più complessa la vicenda che riguarda Antonio Pomarico, titolare dell’omonima ditta, che sarebbe stata “espunta” dalla lista dei destinatari di un controllo programmato dall’Agenzia. In cambio è stato ipotizzato che la ditta  Pomarico pagasse le imposte sui  canoni di locazione per un  appartamento acquistato nel 1991 e consegnato al dottor Chiarito nel 1995,  non ancora rogitato ma già affittato a un inquilino che pagava regolarmente il canone alla dottoressa.

«Parliamo di un preliminare di vendita datato 1992. Ci sono anche i pagamenti: tutti bonifici e assegni regolari superiori a quelli degli alri acquirenti. Ma hanno sentito alcuni dei miei ex colleghi che a distanza di 4 anni sostengono che sia stata io a cambiare la lista delle imprese da sottoporre ad accertamento: un file di testo che chiunque avrebbe potuto modificare. Mi accusano senza un riscontro su chi vi abbia avuto accesso realmente. E che interesse avrei avuto? Il prezzo a cui ho acquistato quegli appartamenti è identico a quello di mercato se non addirittura superiore a quello praticato ad altri clienti. Il contratto di affitto risultava a carico della ditta solo perché mio marito non aveva stipulato subito l’atto di compravendita ma era lui che pagava l’Ici. Basta guardare nella contabilità della ditta che ha annotato tutto. Come si fa ad immaginare un nesso tra eventi distinti che sono si sono mai incrociati tra loro?»

L’ultima accusa che viene contestata all’ex capo degli ispettori del fisco è di aver compiuto una serie di accessi abusivi al sistema informatico dell’Agenzia soprattutto per verificare la situazione dei familiari.

«Non è vero che ho verificato l’esistenza di accertamenti in corso su di me e le mie figlie, gli accessi sono all’anagrafe tributaria da cui risultano né più né meno che i dati catastali e le dichiarazioni dei redditi. Dove sta scritto che un accesso è abusivo solo perché riguarda persone di mia conoscenza? E come si fa a dire che avrei intestato in maniera fittizia i beni a mia figlia? Dov’è il genitore che non lo fa? A un certo punto ho perso mio marito e mi sono preoccupata di lasciarle quello che abbiamo costruito assieme lavorando e risparmiando ogni giorno da quando avevamo vent’anni. Anche per potermi ricostruire una vita. Non ho mai desiderato abiti di lusso, e in quell’intercettazione in cui me la prendo con quel sarto per il prezzo di un tailleur (un capitolo dell’inchiesta stralciato verso Bari, ndr) mi sto sfogando con un amico più che un collega. Chiusi tra le quattro mura di un ufficio. Lui, il sarto, non sapeva chi ero e il lavoro che facevo, né gliel’ho mai detto. Se avessi potuto immaginare che mi avrebbe chiesto 5mila euro non sarei mai entrata nel suo atelier perché sono… ero un pubblico funzionario, mica una miliardaria. Giro con un’utilitaria e le auto le compro a rate col finanziamento. Io sono questa qua». 

l.amato@luedi.it

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