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CATANZARO – Un sequestro di beni pari a 3 milioni di euro. Tanto quanto la somma di denaro di cui si sarebbero appropriati i presunti protagonisti della maxi truffa dei braccianti agricoli portata allo scoperto dal sostituto procuratore, Carlo Villani, con l’aiuto dei finanzieri del comando provinciale di Catanzaro. È stato il magistrato a sollecitarlo al gip, Abigail Mellace, considerando “l’elevato spessore criminale” dell’imprenditore Annibale Notaris e del commercialista Antonino Porcaro, che avrebbero “pervicacemente proseguito nelle operazioni truffaldine”, nonostante fossero già stati arrestati tre anni fa per gli stessi reati, dunque tenendo anche conto del “concreto pericolo che gli autori dei fatti contestati possano spogliarsi dei beni costituenti il loro patrimonio, anche mediante intestazione fittizia degli stessi a terzi fiduciari”.
Dalle carte dell’inchiesta, infatti, emerge che a partire dal 2006 imprenditore e commercialista, “sfruttando il principio di automaticità e le regole sull’autocertificazione che regolano la corresponsione dei trattamenti di sostegno al reddito e dei fondi europei e regionali per l’agricoltura”, avrebbero architettato (il primo quale ideatore, il secondo come depositario del sapere tecnico-contabile-burocratico indispensabile allo scopo) un semplice ma efficace sistema di frode ai danni di enti pubblici.
E, a tal fine, Notaris si sarebbe avvalso di imprese intestate a sé stesso o, ancor più spesso, a propri parenti. Il magistrato, poi, definisce eclettico il ruolo del Porcaro, che si occupava di ogni aspetto contabile e amministrativo della vita commerciale della famiglia Notaris, in qualità di consulente di fiducia e commercialista, “non disdegnando anch’egli tuttavia compiti minuti, quali la contrattazione con i “lavoratori”, la ricezione e la consegna brevi manu delle indebite percezioni”.
Un ruolo cruciale, dunque, quello del ragioniere, “depositario – scrive il gip nella sua ordinanza di arresto – del sapere giuridico e contabile, del knowhow indispensabile per conoscere i meccanismi di erogazione dei contributi previdenziali e delle provvidenze europee e regionali a sostegno dell’imprenditoria rurale, istruire le pratiche burocratiche e, infine, raggirare il sistema a proprio vantaggio”.
Avrebbero, invece, rivestito il semplice ruolo di partecipi la moglie e le figlie di Notaris, tutte e tre amministratrici di diritto e prestanomi al servizio del capo dell’associazione, assumendo le funzioni di rappresentanza legale e di amministrazione delle diverse strutture imprenditoriali di volta in volta create o utilizzate del consorzio criminale per perseguire i suoi scopi illeciti. In poche parole, le tre donne avrebbero “dato il volto” alle imprese in questione, interloquendo con i vari enti (in qualità di rappresentanti legali), gestendo sotto il profilo amministrativo quel poco di azienda sufficiente affinché la “Umbro d.i.” e la “Agrin s.r.l.” potessero almeno formalmente esistere, siglando tutti gli atti e, soprattutto, le domande di sovvenzione a favore dei falsi complessi produttivi da loro capeggiati, dunque fungendo da “paravento” legale alle presunte attività criminose messe a segno dall’associazione, rendendo materialmente possibile e operante l’occulto piano associativo e traducendo in forme giuridiche le frodi architettate dal capo dell’associazione e dal suo consigliere. Insomma, un patto di famiglia che avrebbe portato nel giro di pochi anni alla percezione indebita di oltre 3 milioni di euro, con ramificazioni in tutto il comprensorio catanzarese, dalla Piana di Lamezia Terme fino ai paesi lungo la costa jonica adiacente alla provincia di Crotone, e in grado di reclutare un numero elevatissimo di concorrenti che, in questa seconda tranche dell’operazione, avrebbe toccato quasi quota 500.

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