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REGGIO CALABRIA – Le condanne contro il boss Saverio Mammoliti e il figlio sono arrivate, ma a restare fuori dai risarcimenti è stata proprio la cooperativa di Libera che promosso la causa contro i danneggiamenti culminati nel taglio di 640 piante di ulivo secolare sui terreni confiscati al clan nella Valle del Marro della piana di Gioia Tauro.

Per un aspetto tecnico legato ai tempi di attribuzione formale dei beni, non è stata riconosciuta l’estorsione ma solo il furto contro la coop “Valle del Marro”. Ventimila euro a testa andranno invece al Comune di Oppido Mamertina, ai ministeri dell’Economia, della Coesione Sociale, dell’Ambiente e dell’Interno e all’Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati alle mafie che pure si erano costituiti parte civile.

VITTORIA CONTRO I «PADRONI DEL TERRITORIO» – In una nota, don Pino Demasi, referente di Libera, commenta: «Anche se non è stata riconosciuta l’estorsione nei confronti della Cooperativa, registriamo con favore il fatto che  il Mammoliti e i suoi affiliati siano  stati riconosciuti e condannati come coloro che con le loro azioni e vessazioni tentano di essere i padroni del territorio. Se non ci fosse stata la denuncia dei ragazzi della Cooperativa tale condanna certamente non si sarebbe avuta». Demasi ringrazia quanti «a vario titolo in questo processo hanno scelto di stare a fianco della Valle del Marro», a partire dagli organi dello Stato e dal Comune di Oppido. L’ottimismo del sacerdote esponente di Libera viene collegato a una coincidenza festosa: «Oggi all’ospedale di Polistena è nato Francesco Maria, figlio di due soci della cooperativa. Per creare un futuro diverso a questo bambino e a tutte le nuove generazioni la Cooperativa continuerà nella sua azione di denuncia e di impegno quotidiano per il cambiamento reale del territorio».

INFLITTI TANTI ANNI DI CARCERE – Quella che è scaturita dalla denuncia della “Valle del Marro” è una sentenza che fa male. Saverio Mammoliti, boss di Castellace, dovrà scontare 13 anni e 10 mesi per concorso in intestazione fittizia di beni ed estorsione. Il figlio Antonino di 23 anni è stato condannato a 7 anni e 2 mesi. Stessa pena per Danilo Carpinelli, mentre per Francesco Frisina ci sono 5 anni e 10 mesi. Due anni con la sospensione della pena per Caterina Anastasi, che doveva rispondere di intestazione fittizia di beni. Tutte le pene sono relative ad avvenimenti estorsivi e intimidazioni che sono avvenute nella zona. Assolti infine Maria Cipri e Marcello Auddino.

IL SISTEMA DELLE INTESTAZIONI FITTIZIE – La vicenda del taglio delle piante d’ulivo risale al gennaio 2012: all’interno di due differenti apprezzamenti di terreno in località Don Fedele di Oppido Mamertina, sulle proprietà confiscate alla ‘ndrangheta, venivano deturpate le piante d’ulivo. Furti e danneggiamenti avevano poi riguardato le attrezzature agricole.  Le indagini hanno documentato le modalità attraverso le quali gli affiliati alla cosca si garantivano l’effettivo, seppur non formaledi fatto, attraverso dei prestanome, il possesso di fondi agricoli in Castellace di Oppido Mamertina, Palmi e Oppido Mamertina, intimidendo i proprietari e rubando legname, causando incendi boschivi e numerosi danneggiamenti. 

In particolare, sono state contestate un’estorsione perpetrata costringendo due persone a sottoscrivere una scrittura privata per l’acquisizione di fondi agricoli nel comune di Palmi, che venivano ceduti e gestiti di fatto dalla cosca mediante intestazioni fittizie; una tentata estorsione perpetrata costringendo i soci di una cooperativa sociale a rifiutare l’assegnazione da parte dello Stato dei beni confiscati alla cosca stessa nel comune di Castellace di Oppido Mamertina; una tentata estorsione perpetrata costringendo il proprietario di un fondo a cederne la titolarità ed il godimento.

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