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«ASPETTA, ho capito cosa vuoi chiedermi. Ma facciamo così, rispondi tu alla mia domanda: «Quando hai capito di essere eterosessuale?». Silenzio. La domanda è spiazzante. Non ci sono le parole. E non potrebbero esserci perché non è questione di “capire”. È proprio quella domanda che ti porta a comprendere che essere eterosessuale o gay, di colore o bianco, mussulmano, cattolico o buddista non sono cose che un bel giorno ti svegli e capisci. Semplicemente lo sei. E non stai lì a farti domande. Anzi neanche ti vengono in mente. Quindi quella domanda – «Ma tu quando hai capito di essere gay?» – è andata persa tra quelle cose senza senso che spesso si dicono. Ha vinto. Francesco Pirozzi, 29 anni compiuti da poco, ha di nuovo vinto. Ma non con la forza. Lo ha fatto con la dolcezza, con l’allegria, con il sorriso – tre cose sempre presenti anche quando ti racconta «sai quando eravamo bambini e si era abituati l clichè i maschi stanno con i maschi e le femmine con le femmine? Beh, mi domandavo: io con chi sto?» – e con l’amore.
Si perché l’amore è uguale per tutti. Ed è l’amore, solo l’amore, ciò che leggi negli occhi di Francesco Pirozzi che il prossimo 13 giugno, a Oporto (Portogallo), coronerà il suo sogno. Poi il 21 festa a Potenza. Tutto è nato da una proposta fatta l’estate scorsa nella sua casa di Potenza. Cena romantica, torta a forma di cuore, champagne e poi la fatidica domanda: «Mi vuoi sposare?». Ed Eugene , 35 anni, non ha esitato un attimo: «Sì che lo voglio» del resto «io – ha aggiunto – dal primo giorno in cui ti ho incontrato mi sono sentito subito tuo marito».
E l’anello, l’anello? «Eccotelo – mostra una semplice fedina d’argento -ma questo è quello che io ed Eugene portiamo da quando ci siamo fidanzati». Il “brillocco”, non c’è da dubitarne, arriverà a breve.
Non è stato facile ma «non tanto – racconta Francesco che accanto a sé ha la cognata, Francesca De Nicola, e la cugina, Valentina Pirozzi che saranno anche le sue testimoni di nozze – per quello che diceva la gente ma perché io avevo paura di essere quello che sono e soffrivo perché temevo che i miei genitori in primis ma anche i mie amici e i miei parenti non mi avrebbero più voluto bene».
Un percorso difficile quello dell’accettazione.
«Dell’accettazione di me stesso. Tra l’altro – aggiunge mentre i suoi occhi non stanno fermi un attimo – a diciott’anni ero anche grasso». Insomma «gay e anche grasso davvero un disastro, non trovi?» e se la ride di gusto. Anche se dietro quella risata c’è quell’unica parola che proprio non riesce a pronunciare: anoressia.
A vent’anni «quando ho imparato ad amarmi» la mia vita è cambiata.
Prima cosa «viaggio alle Canarie», una sorta di mondo «dei balocchi» perché «vedere tanti ragazzi come me che si tenevano per mano e si baciavano senza nessun timore» ha fatto sì che «capissi che non ero il solo». Perché a Potenza «ero solo».
E poi alle Canarie «ho dato il mio primo vero bacio» anche se «la mia prima cotta l’ho avuta a 8 anni» ma lui «non l’ha mai saputo».
Dalle Canarie l’approdo a Bologna «per studiare archeologia» anche se «confesso la mia decisione di andare a studiare fuori è stata più un atto di vigliaccheria che di coraggio». Bologna «sicuramente era ed è una città meno “difficile” rispetto a Potenza». Insomma: «sono fuggito ma da me stesso».
Una fuga che però, ha fatto sì che il futuro marito Francesco avesse l’occasione di incontrare il futuro marito Eugene. «Sì noi siamo marito e marito» al massimo «scherzando mi posso fare chiamare moglio».
Un incontro avvenuto «per caso – racconta Francesco – visto che quella sera né io né lui volevamo uscire ma poi lo abbiamo fatto e ci siamo ritrovati nello stesso locale». Un locale «per gay» tiene a precisare. E allora parte la “vendetta”: «E perché precisi “per gay”? Un locale è un locale. Punto». Incassa il colpo. Del resto ne ha incassati parecchi e ben più tosti. «Più che le battutacce – aggiunge – a ferirmi sono le occhiatacce della gente quando magari con Eugene vado a fare la spesa o quando camminiamo mano nella mano».
Perché i pregiudizi ci sono ed è inutile negarlo. Ma la vita è strana. Meravigliosamente strana. Eugene, infatti, Francesco l’ha conosciuto grazie alla legge “Bossi-Fini”. Eugene è albanese. «Albanese e gay». E scoppia a ridere. Ridiamo. «Almeno la partecipazione dovresti spedirgliela all’Umberto..». «È vero – risponde – magari anche la bomboniera».
Nuovamente scatta la domanda banale: è stato difficile dirlo ai tuoi?.
«Mio fratello – racconta Francesco – quando stavo per dirglielo mi ha subito fermato e mi da detto: “Fra’ l’ho sempre saputo». A mamma «l’ho detto un giorno in cui è salita a Bologna a trovarmi».
Dopo cena «ci siamo seduti in soggiorno» e tutto di un fiato «mamma amo Eugene. Ma davvero non te ne eri mai accorta che ero gay?». E lei: «Qualche volta ci ho pensato». Poi è toccato a papà. «Mi ha telefonato e mi ha detto che stava salendo a Bologna». Prima dell’incontro la paura: «con lui non ho mai avuto molta confidenza e a maggior ragione ero certo che non avrebbe mai capito».
E, invece, è «stato proprio mio padre a spiazzare tutti perché mi ha abbracciato ed è scoppiato a piangere». Un pianto dovuto «al fatto che non glielo avevo detto prima». Un pianto di «rabbia perché avrebbe voluto potermi proteggere e aiutare quando ero più piccolo» ma con «il mio silenzio non gliel’ho permesso».
E sarà proprio il papà di Francesco – «e un altro mio amico» – a fare da testimone a Eugene «perché i suoi genitori – spiega – con cui ho un buon rapporto non verranno. Loro ancora non hanno accettato bene tutto questo». Ma «sicuramente lo faranno perché alla fine anche per loro, così come è stato per i miei, l’importante è la nostra felicità».
Unico dispiacere «il fatto che della sua famiglia non ci sarà nessuno». E questo sì che fa velare di tristezza gli occhi di Francesco che sarà il primo gay lucano a convolare a nozze. Un primato che dovrà condividere con la cognata e la cugina che saranno le prime lucane a essere testimoni di un matrimonio gay.
A quanti – e sono tanti – gli domandano: «Ma tu come hai fatto?» l’unica cosa che «rispondo è che: io ho avuto la forza e il coraggio di raccontare tutto. Di dire chi ero. Voi non lo avete ancora fatto. Alla fine, come si dice, nella vita, in tutte le cose della vita bisogna avere coraggio e non vergognarsi di quello che si è».
Del resto di cosa bisognerebbe vergognarsi?. «Io – conclude Francesco – non voglio essere donna. Io sono gay e voglio essere gay».
Ed ecco che ritorna a girare nella mente quella domanda iniziale: «Quando hai capito di essere eterosessuale?». Silenzio.
a.giammaria@luedi.it
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