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Sono una quarantina (almeno quelli finora accertati) i colpi messi a segno in tutta Italia da una banda specializzata nelle gioiellerie e sgominata dalla Procura di Potenza, al termine di un’indagine che ha portato a sette ordinanze di custodia cautelare: il gruppo aveva messo a punto un metodo “chirurgico” per svuotare le vetrine, praticando un foro di pochi centimetri, sufficiente appena a far passare un braccio per prendere i gioielli (il bottino, in due anni, è stato di circa 1,5 milioni di euro).
I particolari dell’operazione “Zerocarati” sono stati illustrati stamani, nel capoluogo lucano, nel corso di una conferenza stampa, dal Procuratore della Repubblica, Laura Triassi, dal questore di Potenza, Romolo Panico, e dal dirigente della squadra mobile, Carlo Pagano.
Le ordinanze – sei in carcere e una ai domiciliari – sono state eseguite dalla squadra mobile di Potenza con il supporto degli agenti della squadra mobile della Questura di Napoli e del commissariato di Afragola (Napoli): i componenti del gruppo, infatti, sono tutti dell’hinterland partenopeo e ne faceva parte anche un affiliato al clan camorristico dei Moccia.Pur se logoro e abusato, il termine “banda del buco” è però quello adatto a definire la procedura usata dalla banda, perfetta per il sequel del celebre film.
Il giorno prima del colpo si svolgeva il sopralluogo di rito, per definire il contenuto della vetrina e l’altezza degli espositori.
La sera successiva, mai dopo le 2 di notte e spesso in zone molto frequentate, una persona veniva messa a fare il “palo”, e le altre si occupavano della saracinesca: con un trapano si praticavano quattro forellini per “bucare” il metallo alla giusta altezza, e quindi aprirlo con una cesoia; poi con una sorta di fiamma ossidrica artigianale (alimentata da una comune bomboletta di quelle usate per i fornellini da campeggio) si violava il vetro in modo tale da avere due buchi simmetrici per far passare un braccio (alcuni degli arrestati hanno ferite sugli arti) e prendere i gioielli, poi immediatamente ceduti a una rete di ricettatori (con ricavi da diecimila a trecentomila euro a furto).
Le indagini sono cominciate alla fine del 2011, dopo una rapina in una gioielleria nel centro di Potenza. Gli investigatori hanno individuato immediatamente i responsabili, grazie a uno degli orologi rubati, non rivenduto ma regalato al padre di uno dei partecipanti al colpo: sono state seguite quindi le “tracce” della banda in tutta Italia, che ha sempre usato il “marchio di fabbrica” del buco.
Altre rapine sono state messe a segno in Abruzzo, Basilicata, Campania, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia e Umbria. *(ANSA)
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