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MATTEO Renzi dice di voler andare fino in fondo: la competenza in materia energetica deve tornare interamente allo Stato. «Abbiamo sbagliato. Assegnarla alle Regioni è stato un errore», ha detto il segretario alla direzione del partito che si è svolta ieri.
Ha intenzione di cambiare l’assetto attuale, attraverso le previsioni contenute nel disegno a cui sta lavorando il nuovo segretario del Partito democratico, di riforma al Titolo V della Costituzione, che sarebbe anche oggetto dell’accordo con Berlusconi. Dai contenuti che potrebbe creare qualche imbarazzo ai renziani lucani, a partire dal presidente Pittella.
Chiaramente la modifica proposta dal sindaco di Firenze avrebbe per la Basilicata precise conseguenze.
In direzione opposta rispetto a quelle che sono le aspirazioni lucane. In pratica significherebbe non poter più decidere del nostro petrolio.
La tendenza non è nuova, il tentativo di “scippare” la materia energetica dalle mani delle Regioni risale già a qualche anno fa.
Anche il Governo Monti, nel 2012, ci aveva provato, con il disegno di legge costituzionale che prevedeva proprio il nuovo accentramento delle competenze in materie quali la produzione, il trasporto e, soprattutto, la distribuzione nazionale dell’energia.
Una riforma alla riforma del 2001, che, al contrario, toglieva a Roma per dare alle Regioni.
Ora il neo segretario nazionale ci riprova. E nel disegno a cui sta lavorando su Province e semplificazione delle Regioni ci mette dentro anche la delicata questione dell’energia. In pratica lo Stato ne avrebbe competenza esclusiva. L’obiettivo è quello di garantire unità giuridica ed economica del Paese.
Il decentramento di alcune competenze, negli anni passati è sfociato in conflittualità, rispetto alle quali si è reso necessario, sempre più spesso, l’intervento della Corte Costituzionale.
Del resto, le Regioni non sempre hanno dato prova di essere all’altezza delle responsabilità assegnate dalla legge del 2001. Si pensi, per esempio a quello che è accaduto per l’eolico: un vero guazzabuglio di legge regionali più permissive delle stesse previsioni nazionali. Il che ha consentito che alcuni territori diventassero un vero far west. Terreno fertile per speculatori.
E ora a cavalcare il dietro front è proprio il segretario nazionale del partito democratico.
Per la Basilicata, ancora più che per altre Regioni, la questione è di vitale in portanza. Il territorio che ospita il più giacimento di oro nera su terra ferma più vasto dell’Europa occidentale presto potrebbe perdere la possibilità di decidere in “casa propria”.
E siccome, è ben noto – come più volto ribadito – quanto il Governo centrale sia interessato ad aumentare la produzione energetica locale per ridurre la dipendenza dai Paesi esterni, è molto chiaro quello che il nuovo accentramento potrebbe comportare.
Del resto la linea del ministero dello Sviluppo economico, a differenza dei nomi dei titolari del dicastero, non sembra essere cambiata di molto nel corso degli ultimi anni. E segno tangibile ne sono le linee guida della nuova Strategia energetica nazionale, che in fondo si basa su questa premessa: su una materia delicata, come quella dell’energia e del petrolio in particolare non possono essere le Regioni a decidere. Cosa questo comporti nella pratica è presto detto: se oggi la Regione Basilicata può decidere di opporre il proprio diniego alla richiesta di nuove istanze di ricerca da parte delle compagnie petrolifere, presto potrebbe non avere più voce in capitolo.
Chi non ricorda, a esempio, la reazione istituzionale alla bocciatura da parte della Corte Costituzionale della cosiddetta moratoria lucana: l’allora governatore De Filippo assicurò una netta opposizione a ogni singola nuova istanza che non fosse già prevista dai vecchi accordi. La nuova riforma al Titolo V toglierebbe di fatto alla Basilicata la possibilità di poter decidere di quanto accade sul proprio territorio.
Evidentemente costretta a prendere atto di quanto deciso a Roma.
m.labanca@luedi.it
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