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COSENZA – IL nemico numero uno di Sibari continua a chiamarsi “acqua”. Che venga dal fiume o dalla falda, il sito archeologico si dovrà attrezzare per arginarla. Acqua non solo dannosa quando allaga, ma freno allo sviluppo e alla conoscenza. Lo certificano i progettisti: “Il Parco archeologico della Sibaritide, con un’estensione di circa 500 ettari compresi tra i Comuni di Cassano allo Ionio e Corigliano Calabro, rappresenta uno dei più vasti giacimenti culturali dell’antichità presenti in Europa. Tuttavia, ad oggi solo l’1% della superficie è stata scavata ed una minima parte del patrimonio esistente è stata riportata alla luce, lasciando inespresso non solo il fascino e l’interesse scientifico del sito, ma anche il relativo potenziale in termini di valorizzazione turistico-culturale dell’intero territorio della sibaritide”. 

E tutto questo, sempre secondo i progettisti incaricati dal Mibac, proprio a causa del complesso assetto idrogeologico del sito: “La principale criticità che ha rallentato lo sviluppo dell’area della Sibaritide – decretano – è sicuramente il complesso assetto idrogeologico , che ha reso finora estremamente difficili gli interventi di scavo ed il loro prosieguo”. Si capisce allora bene come il progetto che fa capo alla misura 3 del “Pacchetto Sibari” da 18 milioni di euro si ponga come quello che, più di ogni altro, potrà non solo risolvere la criticità “acqua”, ma aprire anche una nuova fase di scavi e fruibilità del sito, lunga quattro stagioni, fino ad oggi resi impossibili proprio dall’acqua, interna ed esterna al Parco. Il progetto mira a realizzare un sistema di “Trincee drenanti”, maguarda anche alla riqualificazione del Parco. Il piano attende la commissione esaminatrice, che dovrebbe insediarsi a breve. 
Obiettivo dichiarato della misura 3 è “Controllare e contenere i fenomeni di risalita delle acque di falda che invadono l’area archeologica e realizzare opere di risistemazione e riqualificazione funzionale dell’intera area”. Questa seconda parte mirerà in sostanza a risistemare i percorsi di visita e rendere il parco più accogliente con allestimenti illuminotecnici e scenografici. Ma sono le trincee drenanti la vera sfida per assicurare al sito una protezione dall’acqua della falda e anche una migliore fruizione da parte dei visitatori con il sole e con la pioggia. Ad oggi “In tutte le aree oggetto di scavo e ricerca del Parco Archeologico di Sibari è la presenza di strutture tecnologiche (wellpoint) disseminate sul territorio, a contenere, mediante il continuo funzionamento, il livello della falda superficiale che a seguito di fenomeni di risalita tende ad invadere ed allagare continuamente le aree di scavo e quelle già scavate”, si legge nella relazione al progetto. La misura 3 dovrà quindi “controllare i fenomeni di allagamento degli scavi mediante l’installazione di trincee drenanti lungo la viabilità archeologica”. Trincee che dovranno “intercettare e raccogliere nel sottosuolo le acque di risalita di falda impedendo l’allagamento degli scavi”. Ma i tecnici avvertono: la falda “domata” renderà possibile scavare, conoscere e far visitare al meglio l’area archeologica, solo a patto che tutto il piano “sia inserito in un più vasto programma di razionalizzazione della problematica idrogeologica dell’intero parco”. Senza dimenticare il nemico numero uno: il Crati.
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