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SI DICE, In queste ore, che il Comune ha istituito una task force per verificare lo stato di staticità della zona del crollo. Non ho nessuna intenzione di sostituirmi alla task force, che, peraltro, ha strumenti diversi dai miei, che dispongo solo di qualche vaga conoscenza storica e di un po’ di memoria.
E’ opportuno sapere che Via S. Biagio, via della mia fanciullezza, da me tanto amata da includerla per la prima volta in un itinerario turistico, fu detta Via dei Foggiali, per la grande quantità di fogge, cioè di cavità sotterranee, tuttora visibili sotto le basse palazzine costruite al di sopra.
E non per niente sono basse! Su quella strada sussisteva l’ospedale di una volta, che però, per aver avuto sopraelevazioni, ebbe sempre problemi di staticità. Un solo episodio: siamo all’incirca nel 1951-52.
Io abitavo in una grotta di Rione S. Biagio.
Un bel mattino, dal fondo buio, umido e pauroso della grotta, arrivarono voci che terrorizzarono mia madre (oggi ancora vivente), preoccupata che fossero arrivati i fantasmi. Niente. Erano operai che, facendo lavori di consolidamento alla base dell’ospedale, erano approdati nella mia grotta, un vero tunnel, all’interno della quale crearono un muro in tufo di consolidamento, la cui malta, per l’umidità, non si asciugò mai.
Negli stessi anni, nelle vicinanze, in Via S. Giovanni Vecchio, fenomeni di collasso indussero al trasferimento di molte famiglie in Rione Agna; un poco più in là, all’incirca dove ora c’è l’albergo dei Sassi, si ebbero “case cadute”, che indussero ad innalzare un muraglione di sostegno, ancora visibile. Intanto, tra il 1953 1e il 1954, la stradetta un discesa che portava in Rione S. Biagio, nei Sassi, fu transennata. Per arrivare a casa dovevamo infilarci fra i pali di sostegno (qualche anno dopo tolti). Non furono mai tolti, invece, i piloni in calcestruzzo che chiudevano Via Santa Cesarea. Quei piloni, oggi, a sessant’anni di distanza, sono ancora lì (incredibile!), ad impedire il transito, ieri dei traini, oggi delle automobili. E tutto a ridosso della palazzina crollata, a proposito della quale, a giudicare dalle foto, non si tratterebbe di una palazzina, ma di due fette di palazzine contigue. Chissà come e chissà perché!
Tutta Via S. Biagio è segnata da costruzioni di fine Settecento e tutto Ottocento. A Via San Biagio segue Via Santa Cesarea, appesantita dal grande palazzo Candeloro-Enselmi, sotto il quale esistono molti vuoti e, forse, vi arriva persino la lunga e fabulosa “casa-cava”. Dopo palazzo Candeloro-Enselmi, nel ‘900, cominciarono a comparire, senza Piano Regolatore, tutte affidate alla perizia dei mastri muratori, le prime costruzioni contadine del piano, tutte lamioni ad un solo vano, abitazioni e stalle nello stesso tempo Oggi, passata la“civiltà” contadina, quei lamioni sono diventati garages, negozi, pizzerie… Qualcuno dice che alla Matera dei contadini si è sostituita la Matera dei camerieri. La porta d’ingresso è stata perciò sempre pericolosamente allargata, con saracinesche, vetrate e simili. Non solo. La scomparsa dei contadini ha reso la zona appetibile anche al ceto dei piccoli impiegati, artigiani, insomma alla piccola borghesia, che, su quei lamioni, ha creato stanze, cui si accede con una sola, ripida, lunga scalinata.
Va sempre ricordato che, sotto quelle costruzioni-superfetazioni, molto spesso si aggirano grotte e cunicoli, umidi come la mia grotta. Cosa voglio dire con questo? Che costruzioni nate con fini e funzioni particolari e adatte ai tempi, destinate a rimanere abitazioni a pianoterra, sono diventate inopportunamente palazzine anche a tre-quattro piani. E’ inutile dire, a questo punto, che opere di ristrutturazione ed adattamento a nuove funzioni richiedono molta cautela e specializzazioni di alto livello. Ma che sanno i nostri ingegneri e architetti di costruzioni tutte in tufo? Aver dato e rivendicato funzioni di conservazione, consolidamento e ristrutturazione ai Comuni e alla Regione, peraltro, non è stato un affare. Dove sono le grandi competenze e gli adeguati strumenti tecnici? Ma, soprattutto, quante connivenze tra pubblico e privato si creano, considerato che si vive in una città del Sud, in cui si è tutti amici, parenti e compari?
E veniamo a noi. Mentre si avviano iniziative di concreta solidarietà, che, sparito il vicinato, mi auguro facciano uscire la comunità da un ormai radicato individualismo, lasciatemi, prima di tutto, esprimere comprensione e compartecipazione per chi da questa disgrazia è stato colpito, in modo più o meno grave.
Non escludo il Sindaco, di cui capisco le difficoltà, soprattutto sul piano umano. Con morti e feriti è difficile rimanere sereni. Ad un Sindaco, peraltro, non viene riferito tutto, né può sapere tutto. Non credo che si possano attribuirgli responsabilità dirette, nemmeno per legge.
Gli è capitata una cosa che poteva capitare a San Giovanni da Matera. Ma, proprio perché non ha colpa di nulla, è buona regola non negare responsabilità altrui, quando esse ci fossero. Non parlo dei tecnici e dei vigili del fuoco che sono andati a fare il sopralluogo e che avrebbero dovuto, secondo alcuni, ordinare lo sgombero, che è sempre un evento doloroso, tanto più che non si può avere la certezza scientifica di quel che può accadere. Ordinare uno sgombero, quando non dovesse essere ritenuto necessario, non è detto che non comporti delle conseguenze e delle rivalse su chi l’ha ordinato.
Viviamo in un paese oltremodo causidico. Però ci possono essere delle leggerezze, se non delle violazioni di legge volute. Per queste, essendo sempre interessate e rivolte all’utile personale, ma a danno della vita degli altri, non ci possono essere comprensioni di sorta.
Cito da mie esperienze e conoscenze dirette. Succede spesso, se non sempre, che il Comune, con troppa facilità, dia autorizzazioni ad ampliamenti, costruzioni, sopraelevazioni con la clausola ”fatti salvi gli eventuali interessi di terzi”.
Chi ha avuto l’autorizzazione senza consenso dei condomini (etimologicamente, “comproprietari”) parte con i lavori. I condomini-comproprietari, che non sono stati mai sentiti prima della concessione dell’autorizzazione, intervengono in difesa dei propri diritti e interessi, affrontando spese giudiziarie di cui volentieri farebbero a meno. Il Comune fa l’ordinanza di sospensione dei lavori; ma non vigila. I lavori continuano tranquillamente (magari di domenica e di notte o nel mese d’agosto). L’opera viene realizzata. Volentieri sugli attici. Quello degli attici (quanti se ne vedono a Matera!) è un classico, E sono, inevitabilmente, un orrore urbanistico.
E chi lo butta giù, ora, il nuovo manufatto? Come si fa? Quanto tempo passerà? E poi c’è sempre il TAR, provvidenziale e generoso nel sospendere e sanare. Intanto nel condominio sono scoppiati odi e rancori. Domando: ma se, nel frattempo, ci fosse un crollo o spuntassero condizioni di pericolo, sarebbe una fatalità?
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