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POTENZA – «I soldi del fondo caritatevole li ho presi io, 45mila euro, perché ero vittima di un’estorsione. A novembre, il giorno dopo le elezioni, mi sono guardato allo specchio e ho trovato il coraggio di denunciare tutto. Per questo i Pm hanno sentito il vescovo. Altro che truffatore».
Si dice «sollevato» Sergio Lapenna, l’avvocato ed ex consigliere regionale. Un uomo “nuovo” arrivato alla fine di un incubo durato almeno 4 anni, che gli sarebbe costato 900mila euro, e un matrimonio in crisi.
L’INTERVISTA
Ieri mattina, dopo le notizie pubblicate dal Quotidiano della Basilicata sull’ammanco nella cassa per i poveri della diocesi di Potenza e l’interrogatorio in Procura di monsignor Superbo, Lapenna ha chiesto di parlare.
«Consiglio a chi mi accusa di non aver rispettato i patti di scegliersi un buon confessore. Non accetto di ricevere schizzi di fango da nessuno: né magistrati, né sacerdoti. Se mi sono negato a chi mi chiedeva dalla curia di rientrare dei soldi presi in prestito è perché non avevo nemmeno mille lire. Piuttosto inviterei il vescovo a un confronto pubblico sulla questione nella redazione del Quotidiano. Se mi svincola dal segreto professionale potrei elencare tutte le volte che mi sono messo a disposizione della diocesi senza chiedere mai nulla in cambio».
I FATTI
Assieme a monsignor Agostino Superbo sarebbero già diversi i professionisti e gli imprenditori sentiti dai pm Laura Triassi e Francesco Basentini sui soldi presi in prestito dal noto politico e penalista potentino. Perché la storia risale addirittura al 2005 e quella della chiesa è soltanto una delle porte a cui Lapenna è andato a bussare.
«Ho conosciuto quest’uomo – racconta – durante la campagna elettorale del 2005, quando sono stato entrato in Consiglio regionale. Dico “quest’uomo” perché non ho voglia di farne il nome per rispetto alle indagini che sono ancora in corso. Si è offerto di aiutarmi assieme al fratello, al che gli ho domandato i voti, e nulla più. Poi ci siamo reincontrati dopo le elezioni, e mi ha domandato se era possibile assumere la moglie in Consiglio. Ha iniziato a darmi dei consigli per dimagrire, dato che se ne intende, e a invitarmi a casa sua. Allora mi sono reso conto della situazione di degrado in cui viveva con la moglie e i figli. Nella vita possono dirmi di tutto tranne che mi sono tirato indietro quando si trattava di fare del bene. Tra di noi si era instaurata un’amicizia: seguivo la sua dieta, correvamo assieme e ci vedevamo la mattina per prendere un succo di frutta. Così ho preso a dargli dei soldi ogni tanto, e quando la moglie aveva bisogno di un medico ce la mandavo a nome mio».
Fino a quando qualcosa si è rotto.
LA SVOLTA
«E’ stato nel 2009. Ha iniziato a pretendere i soldi. Se mi opponevo mi schiaffeggiava. Mi minacciava dicendo che sapeva dove abito con la famiglia. Parlava di un suo amico con una pistola. Mi raccontava di quando è stato coinvolto nelle indagini sull’omicidio Gianfredi. Io non l’avevo mai assistito prima, come avvocato, ma avevo sentito che c’era anche lui quando venne picchiato Gennaro Cappiello, qualche settimana prima dell’agguato in cui Gianfredi stato ucciso assieme alla moglie, nel 1997. Lì ho iniziato a cedere. Un tanto alla volta. Fino a raggiungere i 900mila euro di cui ho parlato nella denuncia. Gli investigatori mi hanno anche chiesto se ero diventato scemo tutto di un colpo. Io vorrei solo che si mettessero nei miei panni. Quando l’ho conosciuto quello era un uomo con un lavoro onesto che aveva appena messo su famiglia, anche se aveva ancora dei piccoli procedimenti in corso per il suo carattere rissoso. A un tratto però è cambiato, e a me è tornato in mente tutto».
“REGALI” IMMOBILIARI
Lapenna afferma di aver comprato 3 diversi appartamenti al suo presunto aguzzino.
«Ci sono i bonifici partiti dai miei conti che lo dimostrano. Nell’estate del 2011 ho versato 195mila euro per il primo, all’inizio di via Garibaldi, al netto delle spese di ristrutturazione e dei mobili. Nel 2013, invece, 205 e 110mila euro per altri due in corso XVIII Agosto, nel palazzo dove abita sua madre. Così poteva permutare il primo con un quarto appartamento e abbattere i muri divisori. Nemmeno io ho una casa così».
Eppure non sarebbe ancora bastato per convincerlo a denunciare.
LA REAZIONE
«E’ stato a novembre, quando ho capito di non essere stato eletto, che ho deciso di lasciare la politica e tornare a fare l’avvocato a tempo pieno. Prima però dovevo liberarmi di questa situazione. Ho parlato per 6 ore con la polizia giudiziaria, e 3 giorni più tardi mi è arrivata una lettera con cui mi venivano restituiti i 3 appartamenti allegando gli atti relativi alla compravendita. Col suo legale abbiamo formalizzato la cosa».
C’era un patto per la loro restituzione o qualcuno lo ha avvisato della denuncia appena presentata?
«Nessun patto. Me li ha estorti. Poi per quanto ne so potrebbe anche avermi seguito». Si schernisce Lapenna. «Ormai mi perseguitava. Era diventato come uno stalker per me. A volte lo trovavo sotto casa la mattina ad aspettarmi e non riuscivo più a liberarmene. Magari si è accorto di quello che stava succedendo perché lo ha visto con i suoi occhi. Il 27 si aspettava che gli dessi altri 3mila euro per la moglie. Lei non lavora ma io stipendiavo lo stesso. Ora basta però».
IL CONTO
Quello che resta sono i debiti.
«Per passargli tutti i soldi che ha preteso mi sono dovuto rivolgere non solo al vescovo ma anche a diversi amici e clienti del mio studio. Ho detto che ero in stato di bisogno senza altre spiegazioni, perché avevo paura di fare parola con qualcuno di quello che stavo subendo. A loro adesso devo circa 700mila euro, che conto di restituire vendendo i tre appartamenti ed eventualmente un quarto di mia proprietà. Al momento però devo dire che nessuno me li ha chiesti indietro. Né mi sono stati revocati dei mandati. Mi chiamano soltanto per dirmi delle convocazioni in Procura. E io non posso che invitarli ad andare e riferire tutto quello che sanno. Solo dalla diocesi ho ricevuto una comunicazione di Don Pasquale Zuardi. Comunque il mio avvocato nei prossimi giorni invierà a tutti una lettera spiegando la situazione e sono certo che capiranno».
l.amato@luedi.it
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