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Stiamo ai fatti.

Primo, nominando la nuova Giunta, Pittella ha agito da presidente, esercitandone i poteri, indipendentemente dalle pressioni dei vari partiti. Secondo,  la nuova giunta con la scelta di assessori tutti esterni – lo ammette lo stesso presidente – è nata per l’impossibilità di trovare una intesa tra i due tronconi in cui su divide il Pd, quello antezzano (poveri noi) e quello, come dire, dell’apparato di partito, un apparato sconfitto alle primarie  da Pittella che si è avvalso a piene mani di sostegni impropri esterni e di frange molto robuste clientelari ben radicate all’interno del pd, con qualche eccezione (Margiotta, qualche giovane che tuttavia già si sta ponendo su posizioni autoreferenziali). Non si è trattato, dunque, di una scelta frutto di valutazioni ponderate sulla necessità di rinnovamento del ceto politico, ma della impraticabilità di fare la quadratura del cerchio all’interno del Pd. E forse c’è qualche riflessione in  più da fare: i quattro assessori esterni non si improvvisano all’ultimo momento, lo zampino del fratello del presidente, Gianni, è di tutta evidenza e dimostra che la decisione era già da tempo nel cassetto, più conseguenza della disperazione che altro, ma  nel contempo anche di capacità di prevedere i veti incrociati e  di conseguenza necessità di un loro superamento con una scelta che a prima vista è carica di grandi significati politici (competenze accertate, ecc.).

Terzo, non c’è dubbio che nominare i quattro assessori, ricercandoli fuori della Basilicata è una operazione mai avuta in 43 anni di vita della Regione Basilicata, un fatto per molti aspetti “rivoluzionario”, anche se il perché di tale rivoluzione lascia un tantino perplessi, come si è osservato in precedenza; prima di colorare di rinnovamento  la decisione in questione aspettiamo un attimo.

Quarto, i nuovi assessori hanno indubbie competenze nel campo professionale di riferimento e credibilità nazionale ed internazionale, doti che  potranno tornare utili molto probabilmente  sui vari tavoli nazionali, allorchè si discuterà dei problemi della Basilicata (dal petrolio alla scuola, all’agricoltura, all’utilizzo dei fondi comunitari).

E passiamo ai problemi.

Primo, in consiglio regionale la zavorra clientelare antezzana e non solo, per un verso, e la nomenclatura partitica, per altro verso, non sono scomparse, anzi stanno in campo con i loro interessi particolari, consapevoli che è in ballo la loro lotta per il potere, la loro sopravvivenza. A ben vedere, è la nomenclatura che ha ricevuto pochi contraccolpi dalla scelta di Pittella, avendo essa deciso in anticipo di sfilarsi da responsabilità dirette in Giunta regionale.

Il presidente Pittella è stato nell’ottica machiavellica volpe, quando ha incamerato i voti antezzani nelle primarie e nelle elezioni regionali, e leone, quando li ha allontanati dalle gestione del potere.

Non sarà agevole muoversi nel consiglio regionale, per il presidente, esposto ai venti incrociati delle diverse componenti politiche che non gli perdoneranno altri (dal loro punto di vista ovviamente) possibili errori.

Secondo, le competenze specialistiche in farmacologia ed altro non sono sufficienti per fare un buon politico, profilo questo che richiede capacità di sintesi, interpretazione adeguata della complessità e delle incertezze di cui è gravata la realtà, ricerca del consenso sulla base dei risultati generali ottenuti (modalità di uscita dalla crisi strutturale regionale, riavvio della crescita socio-economica.

La contrapposizione tra il tecnico ed il politico è fuorviante e sbagliata. Diceva il grande filosofo politico francese, Jean  Jaures, che solo il nulla è tecnico, tutto il resto è politico. Dai quattro assessori ci si attende che facciano politica, nel senso più nobile del termine, hanno tutto da perdere e poco da guadagnare, ripercorrendo i sentieri politici tradizionali che, credo, li appartengano poco.

Terzo, Pittella, esercitando le sue prerogative di presidente, si è caricato di un rischio politico molto forte, quasi una strada senza ritorno, quella cioè del cambiamento radicale, i suoi assessori ci metteranno la loro faccia in un processo politico  che rappresenta comunque un pezzo della questione meridionale,  scendendo in trincea, dove è doveroso sporcarsi le mani.

Quarto, la nuova Giunta è poco più di una promessa, i passaggi decisivi del cambiamento sono tutti avanti a noi: dalla revisione dei principi e delle regole di disciplina della vita regionale da far confluire nel nuovo statuto della regione alla prospettiva di darsi finalmente una visione, un progetto, buttando alle ortiche il famigerato modello lucano, fatto di chiacchiere mediatiche, presunte superiorità identitarie e di collocazione fattuale sul piano inclinato del declino non solo demografico, ma anche civile ed economico, alla riorganizzazione degli uffici – per entrare in tematiche più prosaiche – smantellando  il rapporto servile politico-burocratico, pretendendo dai funzionari trasparenza, equità, intelligenza operativa, dalla dotazione di un nuovo metodo di gestione della cosa pubblica alla predisposizione di nuovi mezzi e strumenti di sviluppo  socio-economico.

I nuovi assessori hanno due punti di forza da giocare : il loro sostanziale disinteresse personale nella gestione del potere ed una visione oggettivamente più elevata delle questioni politiche, avendo occupato finora responsabilità di più ampio respiro.

In questa ottica meritano attenzione, non sono (non dovrebbero essere ?) portatori di retro pensieri  localistici, corporazioni, parentele.

È di tutta evidenza che non tutto l’eventuale cambiamento può caricarsi su questa mossa del presidente e sulla possibili azione dei suoi assessori: la Basilicata è afflitta da una crisi di sistema, strutturale quindi,  che pervade l’intera società regionale.

Rimuoverla richiede tempi lunghi che normalmente la politica non si concede. Sarebbe già tanto trovarsi di fronte nel prossimo futuro a prime azioni coerenti con questa prima iniziativa per dimostrare che essa è il primo tassello di un processo a lungo termine di cambiamento più complessivo della regione.

Molto dipenderà dalla parte più significativa del Pd, il partito politico egemone. Se saprà accantonare gli interessi di parte per quelli più generali, avrà creato le condizioni per determinare una svolta nella politica regionale, dimostrando che la lotta per il potere ha senso, se viene fatta nell’interesse generale.

Il raggiungimento di risultati parziali è spesso foriero di fallimenti e insuccessi gravi nel tempo, a scapito dell’intera comunità. Che ci sia a capo di movimenti del genere Pittella o altri poco importa: ciò che conta è il risultato complessivo nel quale c’è spazio di gratificazione per tutti.

Non basta una mossa del cavallo: occorre muovere molte altre pedine, chiamando alla collaborazione gli altri soggetti interessati (governo nazionale, Bruxelles, associazioni imprenditoriali e sindacali, la stessa informazione).

Lo sviluppo  si verifica quando l’intera comunità si muove intorno ad un progetto, stimolata da una leadership autorevole che abbia idee e strategie chiare sulle cose da fare.

Siamo appena all’inizio di un processo di possibile cambiamento. Finora i tentativi ( pochi, in realtà) in tal senso si sono arenati, a causa dei continui e micidiali ostacoli frapposti dagli interessi costituiti (ceto politico, burocrazia, imprese improbabili, sindacati conservatori, ecc.).

Ma non per questo bisogna demordere: forza presidente.  

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