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POTENZA – E’ vero, si dovevano fare delle selezioni. Andavano bene anche ristrette agli ex di Metapontum Agrobios. Ma se nessuno di quelli rimasti “fuori” si lamenta, non è che per principio si può annullare tutto. I colleghi più anziani, che sono entrati all’Arpab vincendo un regolare concorso, dovranno farsene una ragione.
E’ destinata a far discutere la sentenza con cui il Tar Basilicata ha dichiarato inammissibile il ricorso di 31 lavoratori dell’Agenzia regionale per l’ambiente contro il trasferimento del personale di Metapontum Agrobios.
La decisione è stata depositata lunedì, ma alcune indiscrezioni sul suo contenuto erano iniziate a circolare anche nei giorni precedenti. Indiscrezioni non del tutto infondate dato che alla fine le ragioni dell’amministrazione avrebbero prevalso, nella forma, per quanto superate nella sostanza.
Un bel paradosso. Su questo non piove. A cui non è estranea una certa morale, rivolta a chi ha pensato di rivolgersi ai giudici, e a chi è rimasto a “girarsi i pollici” lamentandosi e basta.
Per i magistrati, infatti, l’interesse dei primi al rispetto dei principi della Costituzione sull’accesso alle pubbliche amministrazioni tramite concorso, «evitando qualsiasi tipo di assunzione diretta presso l’Arpab anche con contratto di diritto privato e/o senza la costituzione di un rapporto di pubblico impiego», non può qualificarsi «come un “interesse semplice o di mero fatto”, poiché (…) fa capo ad una comunità di soggetti, già facenti parte dell’organico dell’Arpab, differenziati dall’intera collettività».
«Va però rilevato – aggiungono il presidente Michele Perrelli, il consigliere Giancarlo Pennetti e l’estensore Pasquale Mastrantuono – che, nella specie, i ricorrenti (…) non hanno subito alcuna lesione di tipo diretto e/o automatico».
Ciò perché la collocazione in Arpab dei 34 dipendenti della Metapontum Agrobios «con contratto di diritto privato nell’ambito del contratto collettivo di lavoro attualmente in godimento senza la costituzione di un rapporto di pubblico impiego», e gli atti collegati alla legge regionale che lo ha stabilito, «non ledono lo status giuridico ed economico dei ricorrenti, tenuto pure conto della circostanza che la Regione provvede direttamente alla provvista finanziaria, necessaria al pagamento».
In cifre: oltre due milioni e mezzo di euro all’anno solo di stipendi.
Qualcosa della serie: la Regione paga, la Regione pretende. E se non toglie nulla a chi è già dentro che senso ha lamentarsi?
Per i 3 magistrati resterebbe in piedi soltanto una questione di carattere generale, se qualcuno, tipo un sindacato o un’associazione di tutela dei diritti dei lavoratori, avesse voglia di raccoglierla.
Ma da capo. Di fatto anche per l’intervento dell’associazione sindacale Federazione Sindacati Indipendenti a sostegno dei lavoratori dell’Arpab è arrivata una sonora bocciatura. «Sia perché trattasi di un intervento meramente adesivo – scrivono – che segue le stesse sorti dei ricorrenti, sia perché non si tratta di un’associazione di disoccupati che, tra i propri scopi statutari, persegue l’interesse della tutela del principio costituzionale dell’assunzione mediante concorso presso gli enti pubblici».
Un problema di statuto, insomma. Prima ancora che di legittimazione, da chi avrebbe titolo per lamentarsi della corsia privilegiata aperta ai dipendenti di Agrobios verso il miraggio di un posto fisso.
A cominciare dai vincitori delle selezioni per dei posti a tempo indeterminato, che sono stati cancellati all’improvviso o trasformati in contratti precari. Per finire alle migliaia di giovani lucani in cerca di lavoro, che ogni anno prendono la via per andare fuori regione. Quella per far valere i propri diritti è molto più vicina, ma a quanto pare sempre meno frequentata.
l.amato@luedi.it
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