X
<
>

Share
6 minuti per la lettura

Ci sono melodie che tutti abbiniamo alla festa: “Tu scendi dalle stelle” è uno dei canti di Natale più famosi e canticchiati. Ma quanti conoscono la storia di questo brano? Vi proponiamo un bel pezzo sul legame dell’autore del brano, Alfonso Maria de Liguori, con il Natale. È scritto da una giovane laureata in Storia moderna, con una tesi proprio sul santo. 

E se dopo aver letto l’articolo, vi venisse voglia di canticchiare il brano, vi proponiamo qui una delle versioni più famose.

*****

 

Natale, festa del Bambino, festa della vita. S. Alfonso ha vissuto questo mistero con tutta la spontaneità e tenerezza del suo cuore, “napoletanissimo dalle midolla”.
Elevazioni e sentimenti, attinti integralmente dalla sua terra, dalla sua tradizione familiare, in seguito li ha trascritti nelle sue opere sul Natale, soprattutto nelle due celebri poesie: “Quanno nascette Ninno” e “Tu scendi dalle stelle”.
Alfonso però non è solo il santo missionario, il santo cantautore che ogni tanto improvvisa canzoncine spirituali, ma è artista, letterato vero, ed ha un posto di tutto rispetto nella cultura del ‘700, il secolo dell’Arcadia.
Il movimento arcadico, infatti, si presentava ricco di fervore creativo,ispirato al mondo semplice, bucolico, dei pastori, e spesso al mistero del Natale, di cui la poesia, e soprattutto il presepio, ne erano la più icastica rappresentazione. Presepi ne costruì con le sue stesse mani Carlo III di Borbone per la reggia; presepi classici sono usciti dalle botteghe di artisti come Somma, Bottiglieri, Cappelli e Sammartino; presepi più ingenui, alla buona, ma col cuore, si lasciavano ammirare nei vicoli, nelle case, nei bassi della gente semplice della Napoli del ‘700.
Nel 1758 Alfonso scrive la Novena del Santo Natale per invitare tutti a fare del proprio cuore un presepio, una capanna, un dove intimo per accogliervi il Bambino. E qui lo contempla venir giù dal cielo e posarsi su poco fieno: Tu scendi dalle stelle, o re del cielo, / e vieni in una grotta al freddo, al gelo: / o Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar. / O Dio beato,  / e quanto ti costò l’avermi amato!
Sì, perché l’amore vero non sopporta le distanze; Cristo non può limitarsi a contemplare le sofferenze dell’uomo, ma viene a sperimentarle e condividerle nella sua carne. Alla ricchezza di creatore del mondo, alla festa eterna nel seno del Padre, preferisce un’assoluta povertà fino alla mancanza di panni e fuoco, fino al dolore e al pianto.
Ma ecco, tra la terza e quarta strofa, la chiave del messaggio: Tu piangi non per duol, ma per amore / … Caro, non pianger più, ch’io t’amo, io t’amo. Il canto poi si chiude, secondo l’ascetica alfonsiana, con l’invocazione a Maria, l’ultima speranza per riordinare le cose: O Maria speranza mia, / s’io poco amo il tuo Gesù, / non ti sdegnare; /  amalo tu per me s’io nol so amare.
Almeno a Natale tutti devono pregare, gioire, cantare, anche gli scugnizzi, i lazzari, gli eterni emarginati della storia, costretti a raccogliere le briciole della tavola dei ricchi epuloni. E per questi il Santo scrive un poemetto natalizio in dialetto, in lingua napoletana, non per irriverenza o disimpegno letterario, ma per una squisita ricerca di comunicazione confidenziale: Quanno nascette Ninno a Bettalemme.
Dio che si fa uomo nella maternità di Maria abbaglia Alfonso e io colma di felicità, proprio come i pastori alla grotta: Restajeno ncantate e boccapierte / pe tanto tempo senza dì parola / …da dint ‘o core cacciajeno a migliara atte d’amore.
Nìcola Scarano* storia moderna in tesi su sant’  

Natale, festa del Bambino, festa della vita. Sant’Alfonso ha vissuto questo mistero con tutta la spontaneità e tenerezza del suo cuore, “napoletanissimo dalle midolla”.

 

Elevazioni e sentimenti, attinti integralmente dalla sua terra, dalla sua tradizione familiare, in seguito li ha trascritti nelle sue opere sul Natale, soprattutto nelle due celebri poesie: “Quanno nascette Ninno” e “Tu scendi dalle stelle”.

Alfonso però non è solo il santo missionario, il santo cantautore che ogni tanto improvvisa canzoncine spirituali, ma è artista, letterato vero, ed ha un posto di tutto rispetto nella cultura del ‘700, il secolo dell’Arcadia.Il movimento arcadico, infatti, si presentava ricco di fervore creativo,ispirato al mondo semplice, bucolico, dei pastori, e spesso al mistero del Natale, di cui la poesia, e soprattutto il presepio, ne erano la più icastica rappresentazione. 

Presepi ne costruì con le sue stesse mani Carlo III di Borbone per la reggia; presepi classici sono usciti dalle botteghe di artisti come Somma, Bottiglieri, Cappelli e Sammartino; presepi più ingenui, alla buona, ma col cuore, si lasciavano ammirare nei vicoli, nelle case, nei bassi della gente semplice della Napoli del ‘700.

Nel 1758 Alfonso scrive la Novena del Santo Natale per invitare tutti a fare del proprio cuore un presepio, una capanna, un dove intimo per accogliervi il Bambino. 

E qui lo contempla venir giù dal cielo e posarsi su poco fieno: Tu scendi dalle stelle, o re del cielo, / e vieni in una grotta al freddo, al gelo: / o Bambino mio divino, io ti vedo qui tremar. / O Dio beato,  / e quanto ti costò l’avermi amato!

Sì, perché l’amore vero non sopporta le distanze; Cristo non può limitarsi a contemplare le sofferenze dell’uomo, ma viene a sperimentarle e condividerle nella sua carne. Alla ricchezza di creatore del mondo, alla festa eterna nel seno del Padre, preferisce un’assoluta povertà fino alla mancanza di panni e fuoco, fino al dolore e al pianto.Ma ecco, tra la terza e quarta strofa, la chiave del messaggio: Tu piangi non per duol, ma per amore / … Caro, non pianger più, ch’io t’amo, io t’amo.

Il canto poi si chiude, secondo l’ascetica alfonsiana, con l’invocazione a Maria, l’ultima speranza per riordinare le cose: O Maria speranza mia, / s’io poco amo il tuo Gesù, / non ti sdegnare; / amalo tu per me s’io nol so amare.

Almeno a Natale tutti devono pregare, gioire, cantare, anche gli scugnizzi, i lazzari, gli eterni emarginati della storia, costretti a raccogliere le briciole della tavola dei ricchi epuloni. E per questi il Santo scrive un poemetto natalizio in dialetto, in lingua napoletana, non per irriverenza o disimpegno letterario, ma per una squisita ricerca di comunicazione confidenziale: Quanno nascette Ninno a Bettalemme.

Dio che si fa uomo nella maternità di Maria abbaglia Alfonso e io colma di felicità, proprio come i pastori alla grotta: Restajeno ncantate e boccapierte / pe tanto tempo senza dì parola / …da dint ‘o core cacciajeno a migliara atte d’amore.

*giovane laureata in Storia moderna

 

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE