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UN alunno di tanti anni fa, Michele Losquadro, diventato perfetto informatico, ha continuato ad avere, da bravo liceale, interessi letterari. Una sua particolare passione è la frequentazione di librerie antiquarie, alla ricerca di libri introvabili e datati. Recentemente, attraverso una telefonata, mi comunicava di essere entrato in possesso di un opuscoletto di appena dieci pagine, riferite ad un singolare momento della vita del liceo ginnasio “Duni” di Matera.

Ne è autore l’avvocato G. Angelo Gabrielli, risalente nientemeno che al 1882. Ha questo titolo “Cinque documenti del 1882”.

Con grande sorpresa si apprende che l’avvocato Gabrielli, nativo di Fano, era “preside-rettore del liceo-convitto di Matera”. Era stato nominato il 15 settembre 1881, quando il liceo-classico “Duni” non era ancora statale, ma parificato. Era l’ultimo anno di liceo parificato. Nell’estate del 1882, infatti, il liceo fu reso statale.

Fu l’anno della nomina di Giovanni Pascoli, che, quale reggente di latino e greco, fu in città negli anni scolastici 1882-83 e 1883-84. Il convitto, invece, rimase comunale fino al 1904.

La reggenza dell’avvocato Gabrielli cadeva, dunque, in un anno particolare. Ma non è questa la cosa che interessa. Il fatto è che l’avvocato Gabrielli non completò l’anno scolastico.  Si ritirò – dice l’opuscolo – «per gravi danni di salute e il dì XI maggio MDCCCLXXXII in seguito ad  esplicito parere del prof. Francesco Roncati di Bologna».

Era successo, infatti, che, nel mese di aprile, il preside-rettore Gabrielli prendeva congedo straordinario dall’incarico e si ritirava a Bologna, per ragioni di salute. Qui si rivolgeva al professor Francesco Roncati, docente universitario, «primo tra i medici Italiani lì esercenti», che lo visitò, emettendo il seguente referto: «Considerate le condizioni nevropatiche e cardiaco-vascolari del sig. avv. prof. Gabrielangelo Gabrielli e avuto riguardo alla febbre perniciosa malarica ond’egli fu colpito in Matera, dichiaro di dover recisamente sconsigliare il sunnominato sig. professore del ritorno all’ufficio suo in Matera: e tanto più quanto il sig. avv. prof. Gabrielli ha soggiaciuto qui in Bologna a grave, ribelle e diffuso catarro bronchiale con febbre del quale egli viene a stento migliorando e pel quale hanno ricevuto danno e aggravamento notevole le condizioni nevropatiche state sopra menzionate».

Gabrielangelo Gabrielli era uomo d’altri tempi. Dimessosi, come si è visto, l’11 maggio dello stesso anno dall’incarico di preside-rettore, si preoccupava di scrivere una lettera «al Sindaco ed Assessori municipali del Comune di Matera», chiedendo scusa per essersi trovato nella necessità di rinunciare al suo incarico.

Alludendo alle sue condizioni di salute, così scriveva: «Se il mio stato sanitario mi condannerà a una grave e lunga infelicità, mi serbi almeno la stima e la benevolenza di quei  Signori che già molto me ne addimostrarono e che io avrei voluto servire per tutta la vita».

Purtroppo – aggiungeva  – «un clima a me inadattabile minò, fin dal 13 ottobre 1881, la sicurezza della mia vita».

Contemporaneamente scriveva una affettuosa lettera a tutti i suoi «cari convittori» del Collegio di Matera, che sempre lo onorarono ed obbedirono, per cinque mesi di sua presenza». A tutti augurava di vero cuore «per riescire  ottimi figli e cittadini».

Rispose il Sindaco del tempo, che era Pietro Giura Longo. Lo faceva in data 15 luglio 1882, scusandosi del ritardo. Dopo aver manifestato apprezzamento per le doti eccezionali che il Gabrielli aveva manifestato in così poco tempo, esprimeva tutta la sua «dolorosa impressione prodotta dalla sua dimissione», che fu inevitabile accettare  «onde non cagionargli un maggiore danno». Chiudeva la lettera, augurando  «tutte le prosperità possibili, quali a suoi meriti erano dovute». Rispondevano anche i convittori, che manifestavano tutto il loro più profondo dispiacere per aver perduto un rettore  che, dopo aver già «preso ad amarli come figli», partendo per Bologna «anelava  solo il momento di rivederli per esortarli e sorreggerli nel difficile cammino degli studi e della virtù». Sono scambi di cortesia che dicono del clima che si respirava a scuola e di come questa fosse vista quale nobile fucina di alta formazione di uomini e cittadini.

Si è già detto che, nell’anno successivo, il liceo classico di Matera diventava statale e che, a insegnarvi, da Bologna arrivò il Pascoli con il compagno di studi, anche lui destinato a grande avvenire. Si vuol dire di Antonio Restori.

Il primo preside “statale” fu Vincenzo Di Paola, anche lui di prima nomina e forestiero (molisano), rimasto figura indelebile nei ricordi del Pascoli. L’anno successivo, però, già partiva il Restori per lidi migliori. Vi arrivava l’egittologo Giuseppe Botti, sposato ad una donna egiziana, proveniente da terre calde. Arrivavano anche il professor Francesco Della Cava e il giovanissimo professore di filosofia, Vittorio Benini. Appena giunti, però, già volevano scappare via.

Il preside Di Paola, nel 1883, nello stendere le note di qualifica, parlando del Pascoli e del Restori aveva detto che siffatte «intelligenze» erano sprecate a Matera.

L’anno successivo, 1884, andavano via il Pascoli e lo stesso Di Paola, anche lui alla ricerca di aria migliore. Il professor Benini, «avvezzo ad altro paese, altra vita» (a Verona), scalpitava perché «trovava tutto brutto a Matera». E fra le cose brutte c’era il clima. Pascoli si lamentava dello scirocco; la moglie del Botti, egiziana avviata alla tisi, volendo «prolungare la vita», cercava «aria più molle», possibilmente con un «traslocamento in una città di mare». Il professor Della Cava «si lamentava spesso per i reumi». E anche lui cercava «traslocamento».

Insomma, sembra che almeno due fossero i motivi per cui a Matera si arrivava, ma per scapparne via quanto prima. Erano l’estrema lontananza e, ancor più, la «mala aria». Il preside-rettore professor Gabrielangelo Gabrielli, infatti, a parte la malaria, così precisava: «Peggio mi avverrebbe, se ora con forze perdute, dietro una lunga malattia di cui sono appena convalescente e nel principio, mi accingessi al lungo viaggio per Matera e a vivere nuovamente in codesto luogo».

Oggi, all’alba del 2014, Matera aspira a diventare capitale europea della cultura; ma lo scirocco e l’umidità persistono. Niente male. Nessuno potrebbe evitarlo; ma di vero c’è che da Matera i nostri giovani continuano ad andare via e pochi arrivano che vogliano rimanere.

E accade anche che i miei nipoti, arrivando da Pordenone, e cambiando ad Altamura sulle impossibili ferrovie FAL, si divertono a raccontare in giro che venire a Matera è come entrare in un parco giochi, ove si corre come sui vecchi treni del Far West. È una variante di quanto diceva Pascoli, al quale sembrava di essere arrivato in Africa. Anzi in Affrica. Insomma, sembra che, fatto il pari e dispari, il tutto non sia cambiato di molto.

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