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A POCO meno di otto mesi dagli spari esplosi davanti a Palazzo Chigi dal calabrese Luigi Preiti, parla il brigadiere dei carabinieri che rimase ferito gravemente. Un messaggio audio ai colleghi che gli hanno fatto avere in anteprima il calendario dei carabinieri del 2014. Giuseppe Giangrande parla delle sue condizioni di salute che lo «obbligano a stare fermo». Ma a proposito della vicenda che lo ha visto vittima, afferma: «Essere carabinieri significa anche questo». E con orgoglio rivendica: «Sono fiero di aver servito le istituzioni».
Era il 28 aprile, giorno del giuramento del Governo Letta, quando Luigi Preiti, arrivato da Rosarno, fece fuoco contro alcuni carabinieri in servizio davanti a Palazzo Chigi (GUARDA LA FOTOGALLERY). Giuseppe Giangrande fu ferito gravemente al collo, con danni al midollo (LEGGI). L’appuntato Francesco Negri, colpito a una gamba. Meglio andò a un terzo militare, che si vide solo perforare il giubbetto antiproiettile, e a un quarto collega che riuscì a salvarsi gettandosi a terra. Ora Giangrande annuncia che tornerà per qualche giorno a casa, a Prato, dalla sua «amata Martina», la figlia. E conclude ringraziando i parenti e i colleghi che gli sono stati vicino.
VIDEO: IL MESSAGGIO DI GIANGRANDE AI COLLEGHI
Nei giorni scorsi, i risultati della perizia ordinata dal giudice, nell’ambito del processo in corso contro Preiti, hanno stabilito che l’attentatore sarebbe capace di intendere e di volere. Quando ha sparato contro i carabinieri Luigi Preiti era lucido e perfettamente padrone di sé. E, secondo i periti, non avrebbe avuto alcuna intenzione di suicidarsi dopo l’agguato, come invece ha cercato di far credere.
La perizia rivoluziona quindi lo scenario su ciò che sarebbe accaduto prima che Preiti partisse dalla Calabria: l’uomo, è scritto, non viveva affatto isolato, anzi partecipava a gare in un circolo di biliardo e a “seratine” con svariate persone. E proprio durante quegli incontri potrebbe quindi aver pianificato l’agguato. Abituale consumatore di cocaina e alcol, secondo l’esperto consultato dal giudice, al momento del fatto l’imputato presentava un modesto disturbo depressivo in un soggetto portatore di un disturbo di personalità. Ma “tali componenti non avevano rilevanza psichiatrica forense e dunque per le loro caratteristiche e intensità non incidevano in modo significativo sulla sua capacità di intendere e di volere”.
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