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POTENZA – Strangolata da qualcuno che conosceva e poi appesa per il collo con una cinta, alla maniglia della porta del bagno, per simulare un suicidio. 

E’ l’ipotesi che va prendendo corpo tra gli investigatori che a maggio hanno riaperto il fascicolo sulla morte di Anna Esposito, il commissario della Digos originario di Cava dei Tirreni, ritrovato nell’appartamento di servizio della caserma Zaccagnino di Potenza il 12 marzo del 2001.

Nei giorni scorsi in Procura è stata depositata la consulenza disposta dal pm Sergio Marotta, che a ottobre ha deciso di analizzare da capo i risultati di tutti gli esami effettuati sul corpo della donna dodici anni orsono.

Il professore Giampaolo Papaccio, professore di istologia ed embriologia medica della Seconda Università degli studi di Napoli, ha potuto consultare l’intero fascicolo sul giallo di viale Lazio, incluse le foto scattate sul posto, e in seguito durante l’autopsia.

A suo avviso – stando a quanto appreso dal Quotidiano da fonti di primo piano – ci sarebbero diversi elementi che lasciano supporre un omicidio, piuttosto che un gesto autolesionista, come affermato all’epoca da due noti anatomopatologi: il direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università degli studi di Bari, Luigi Strada; e Rocco Maglietta, ex direttore della struttura complessa di Medicina Legale dell’Azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, attualmente in “prestito” come direttore generale dell’Azienda sanitaria di Matera.

«In assenza di lesioni traumatiche e sostanze alcoliche e tossiche nel sangue», i due medici incaricati dal pm Claudia De Luca (attualmente in servizio a Napoli, ndr) avevano giudicato la morte del commissario «compatibile» con un suicidio, motivo per cui il caso era finito in archivio nel giro di una decina di mesi. 

All’epoca l’ipotesi d’indagine perseguita era di istigazione al suicidio.

Ma l’anno scorso è stato il padre di Anna Esposito, 35enne separata e madre di due bimbe, a chiederne con forza la riapertura depositando negli uffici della procura di Potenza una consulenza che aveva commissionato lui stesso per cui sarebbe stato impossibile, tecnicamente, che la figlia si fosse uccisa in quel modo.

Le circostanze prese in considerazione sono state diverse. «Un’impiccagione atipica e incompleta», così veniva descritta la scena. La fibbia – infatti – non sarebbe stata stretta sulla nuca, ma appena sotto l’orecchio destro. In più i colleghi della donna, accorsi nel suo appartamento non vedendola arrivare in questura, non avrebbero trovato il corpo sospeso a mezz’aria, bensì «seduto sul pavimento», data l’esigua altezza della maniglia a cui era “appeso”.

Tutte circostanze a cui adesso andrebbero sommate quelle evidenziate dal consulente del pm Sergio Marotta.

Quanto al quesito sull’utilità di riesumare il corpo della poliziotta, invece, Papaccio si sarebbe mostrato alquanto scettico.

Per il professore, specializzato proprio nello studio dei tessuti vegetali ed animali, sarebbero minime se non proprio inesistenti le probabilità che a distanza di 12 anni quanto resta delle parti molli sia ancora in grado di rivelare alcunché. Sempre per riuscire a stabilire con certezza se sia trattato di un’impiccagione «atipica» o uno strangolamento.

Intanto il fascicolo riaperto dal pm Sergio Marotta risulta ancora iscritto per omicidio volontario a carico di persone da identificare.

Ed è proprio sui possibili responsabili della morte del commissario che ora dovrebbero concentrarsi le indagini.

Qualcuno capace di intrufolarsi nel suo appartamento senza farsi notare, all’ultimo piano di una caserma della polizia. Qualcuno a cui lei stessa potrebbe avere aperto la porta, e che dopo averla uccisa è stato in grado di allestire una messinscena per nascondere le sue tracce, in uno dei posti più sorvegliati di tutta la città.

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