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POTENZA – «La conoscenza alla base di un piano, di un qualunque strumento di programmazione territoriale è fatta di ragionamenti, non solo di basi teoriche». 

E finisce che l’esperienza cittadina, mescolata a percorsi tradizionali del sapere, costruisca nuova conoscenza. Ancora meglio se capita in un’università. Così Beniamino Murgante, docente di pianificazione territoriale  all’Unibas, propone ai propri studenti il racconto di esperienze dirette, casi particolari, argomentazioni locali: spazio e cittadinanza mescolati. 

Questa volta è toccato al Parco della città di Potenza, un progetto nato per caso, diventato un piccolo sogno cittadino, ora in attesa di sviluppi. A parlarne, ieri pomeriggio, nell’aula Copernico del campus di Potenza dell’Unibas, c’erano alcuni dei professionisti che hanno avviato il progetto come una ricerca di studio, ormai diversi mesi fa. 

 

Quando Michele Scioscia, Antonio Graziadei, Gerardo Sassano e Alberto Petrone hanno immaginato un parco esteso al posto dell’ex Cip Zoo (una porcilaia dismessa da anni), stavano rispondendo alle sollecitazioni di alcuni cittadini. 

«Che cosa fareste voi lì?». E “lì” è una zona di cerniera tra l’area industriale e un piccolo parco a ridosso del palazzetto dello sport.«Voi che fareste?», chiedevano loro alcuni amici che nei mesi successivi si sono fatti promotori di una condivisione molto larga di questo progetto. 

«Così abbiamo provato a  immaginare», raccontano agli studenti nel ripercorrere le tappe di una piccola epopea di partecipazione cittadina, online e offline, tra capoluogo e hinterland. «Invece di pensare a che cosa costruire, ci siamo chiesti come trasformare il potenziale economico di quell’area, in potenziale sociale e ambientale diffuso». Poi analisi, studio, indagini, tavole pubblicate e condivise con quel gruppo di cittadini che si faceva sempre più numeroso. 

«Chiedendo – raccontano – abbiamo incrociato esigenze e desideri». Nato per caso; portato avanti dalla mobilitazione popolare; proposto come una bozza di spazio verde e fruibile piuttosto che come un progetto chiuso.Una riqualificazione pensata a impatto zero, con volumetria aggiuntiva quasi nulla e sistemi di rigenerazione sia per l’ acqua, sia per l’energia.Fin qui il progetto, poi il percorso di condivisione con il livello istituzionale. 

L’area dell’ex Cip Zoo vive di un paradosso: appetibile per caratteristiche, ambita da pubblico e privato, inutilizzabile da anni. L’area è di proprietà delle Regione, il Consorzio industriale di Potenza ne ha la gestione, il Comune di Potenza non può programmarci su. Che fare? Osservazioni, condivisioni in rete, incontri pubblici. E una petizione arrivata a 12 mila firme. 

Un comitato spontaneo si è messo al lavoro e ha presentato una proposta di legge per svincolare il suolo. Proposta poi recuperata nell’ultima finanziaria regionale. La Regione si è impegnata a saldare con capitale proprio – e non con la vendita del suolo ex Cip Zoo – i debiti dell’Esab, il vecchio gestore dell’area. Svincolata così la zona dal “peso” finanziario, l’iter per la riqualificazione dovrebbe procedere. I cittadini che hanno coordinato la mobilitazione promettono di vigilare: il sogno di quel parco si poggia su migliaia di firme raccolte. Resta il punto generale, che è questione di metodo. 

Ed è per quel metodo che di simili esperienze cittadine si discute in luoghi come l’università, spiega Murgante. «Significa capire che pianificare non vuol dire immaginare un pacchetto chiuso, una proposta tecnica. Ma ci si deve mettere alla prova con un dibattito pubblico. Meglio se in “tempo di pace”, lontano da scadenze normative, per poter godere del processo di condivisione, cambiare idea, contaminarsi tra interessi e istanze».  

Significa provare a guardare alla città, allo spazio comune, con un indirizzo inverso. Dal basso.

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