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A METAPONTO il mare in tempesta scava e porta alla luce rifiuti speciali inquinanti di ogni genere.

Tutti sapevano, ma c’è voluta la furia della natura per far emergere una piccola Terra dei fuochi in salsa lucana, a poco meno di cento metri dal luogo in cui d’estate giocano i bambini e ci si sollazza al sole. La scoperta, sconcertante, è stata documentata dal fotografo bernaldese Mino Bellino; il Quotidiano ha voluto vederci chiaro, per capire cosa c’era realmente sotto la duna di Metaponto, spazzata via dal mare lo scorso 2 dicembre.

Materiale inerte di ogni genere, ferro da costruzione già ampiamente ossidato, granito, sacchi di rifiuti non ben definiti; e poi: tufi, mattonelle, mattoni forati e probabilmente anche lastre di eternit. Tutto sotterrato, neppure troppo bene, tra gli anni Sessanta e Ottanta, quando secondo i bene informati, pare fosse prassi corrente quella di scaricare al lido i materiali di risulta delle ristrutturazioni, poiché la legge ancora non lo vietava.

Oggi, però, queste sono diventare discariche abusive in piena regola, tanto più perchè si trovano a due passi dal mare, con residui ferrosi e chissà cos’altro a concreto rischio di finire nella falda e, quindi, dove ci si bagna. L’area, venuta alla luce nei giorni scorsi, ha un raggio ancora non ben definito, ma si trova in pieno lungomare sul versante destro verso il Basento. In quella zona, a partire dagli anni ’60, dopo l’alluvione che devastò Metaponto, e almeno fino all’inizio degli anni ’70, quando ci fu un’altra incursione distruttiva dei fiumi Bradano e Basento, si usava scaricare di tutto.

«In quel periodo -spiega al Quotidiano Antonio Trevisani, architetto ed ex dipendente della Regione- negli anni Settanta si realizzò un prolungamento del lungomare in materiale misto-stabilizzato, che arrivava fino all’attuale rimessaggio delle barche. Lì si realizzò anche il lido dell’Anic, di cui ancora oggi esistono le fondamenta, anche in parte sommerse, ma questa è un’altra storia. Sempre in quella zona, c’erano alcune baracche dove si ritrovavano i metapontini in villeggiatura, perchè finiva la strada. Prima e dopo di allora, tra ricostruzioni di case dopo le due alluvioni e ristrutturazioni varie, si è scaricato di tutto. Mi riservo di verificare di persona e accertare quantità e qualità di materiale emerso, ma il problema c’è. Dopo gli anni Ottanta -prosegue Trevisani nella sua ricostruzione dei fatti- per effetto dei venti di scirocco la sabbia ha progressivamente ricoperto i rifiuti, che si trovavano in area retrodunale, quindi a circa cento metri dalla battigia». Su quei rifiuti, insomma, si è formata la duna più recente, quella che proteggeva il lido dall’erosione arrivata dopo, ma oggi non c’è più, lasciando spazio agli inerti. «Dirò di più -prosegue Trevisani- la mareggiata di inizio dicembre ha eroso anche le dune fossili, quelle originarie. Ma la stessa situazione si registra anche dal lato Bradano, nei pressi del camping “Mondial”». Il paradosso è che su quelle dune era cresciuto il giglio di mare e tutta la vegetazione protetta, che ambientalisti di ogni parrocchia difendono da sempre a spada tratta. Eppure, chiunque conosca minimamente la storia del territorio metapontino sapeva bene cosa c’era sotto le dune, ma si è voluto comunque attendere la pulizia del mare per doverlo riconoscere. Oggi le istituzioni a tutti i livelli, si devono far carico di accertare l’entità del danno ambientale e bonificare. Lo chiedono i residenti, lo reclamano gli operatori turistici, lo pretendono i lucani.

a.corrado@luedi.it

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