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OLTRE al danno la beffa: quando ieri mattina, di fronte alle rovine dei  campi completamente allagati, si sono visti recapitare la periodica bolletta del canone irriguo,  gli agricoltori del Vulture l’hanno legittimamente pensato. Non c’è solo l’eccezionalità di un evento climatico ad aver determinato la catastrofe di queste ultime ore. Ma anche l’inefficienza di un sistema, in primo luogo di prevenzione, che ha molto più a che fare con le responsabilità umana. Il cattivo funzionamento dei Consorzi di bonifica, con le criticità ormai ben note e l’incapacità politica di interventi radicali, rappresenta un pezzo –  non il più significativo, ma comunque indicativo – di quella macchina che non funziona come dovrebbe.

A determinare gli allagamenti che si sono verificati soprattutto nell’area del Vulture e del Metapontino, anche la mancata pulizia dei canali e degli impianti di cui avrebbero dovuto occuparsi i due enti di bonifica: la denuncia in queste ore è arrivata anche dal commissario dell’IdV, Gaetano Cantisani. E non c’era bisogno della sfera di cristallo per prevedere come sarebbe andata a finire, visto che si tratta di due aree, soprattutto quella del Metapontino, che periodicamente finisce per ritrovarsi in stato di emergenza a causa del maltempo. Prendersela – come fa l’assessore alle Infrastrutture, Luca Braia – solo con la mancanza di risorse, significa raccontarsi solo una parte della verità. 

Negli ultimi mesi la Regione Basilicata ha bruciato milioni di euro per far fronte alle  emergenze che periodicamente si ripropongono per i tre enti lucani, senza risolvere il problema principale: mettere mano alla gestione che ha provocato buchi milionari. Ma questa è solo una parte dell’analisi.

Se la Basilicata è interessata per quasi il cento per cento del suo territorio dal rischio idrogeologico, in fatto di prevenzione si potrebbe fare di più. Almeno per quello che riguarda la manutenzione affidata all’intervento dell’uomo. Le risorse, umane  e finanziarie, ci sono. Ci sono i più di 700 operai delle Vie blu, il progetto eredito dal fallimento della Sma che impegna 12,5 milioni di euro all’anno delle risorse comunitarie. E gli oltre tre mila operai forestali,  con un programma annuale che pesa in bilancio per 40 milioni euro, la cui copertura deriva per la gran parte delle risorse comunitarie e per certa  quantità anche dalle royalty del petrolio.

Tutta insieme, questa forza lavoro, viene più spesso considerata come una “palla al piede” da collocare una volta da una parte, un’altra altrove,  senza alcuna visione strategica. E non come una potenziale risorsa da destinare a interventi mirati di cui un territorio fragile come lucano avrebbe realmente bisogno.

Ma il grosso della voce “prevenzione” la fanno gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. E qui la cosa si fa più ancora più complessa, in un mix fatto di risorse insufficienti, di ritardi nei trasferimenti, ma anche di norme e burocrazia asfissianti.

Sono più di cento gli interventi programmati sul finire del precedente decennio, rientrati dell’Accordo di programma Ministero-Regione sottoscritto nel 2010, e potenzialmente finanziati con  35.204.000 di euro. Forse ammontano solo al 10 per cento della cifra di cui ci sarebbe realmente bisogno per “mettere in sicurezza” l’intera la Regione. Ma il peggio è che solo una parte di questi, precisamente solo 9 milioni, sono state effettivamente trasferite e quindi già impegnate per solo 15 progetti.

Il commissario per la mitigazione del rischio idrogeologico, Saverio Acito, in queste ore alle prese con le tante emergenze che si stanno verificando del territorio spiega: «In poco meno di tre anni, la Regione ci ha trasferito solo una piccola parte delle risorse. Questo a causa soprattutto del blocco derivante dal Patto di stabilità, ma anche a causa di una eccessiva burocrazia che complica le cose e dilata i tempi».

 Secondo il bilancio tracciato dallo stesso commissario Acito nel primo pomeriggio di ieri: «Gli interventi realizzati fino a ora hanno svolto la propria funzione di mitigazione in queste ultime 48 ore».

Ma in numero maggiore sono gli interventi inseriti nell’accordo di programma del 2010, ammessi a finanziamento con risorse Cipe e comunitarie, ancora non realizzati a causa dei mancati trasferimenti, e che in queste ore hanno determinato gravi criticità. Come a Lauria, dove  costoni di una parete rocciosa  minacciano lo scivolamento, o ancora a Pisticci e a Tricarico.

Criticità per le quali l’accordo quadro prevede specifici interventi.

Per completezza d’informazione va detto – come precisa Acito –    che le risorse previste ammontano a quasi il dieci per cento rispetto a quelle di cui ci sarebbe bisogno per eliminare ompletamente il problema. E questo stando a una programmazione che ormai risale a quasi dieci anni fa, realizzata solo in minima parte e che non tiene conto dei cambiamenti che nel frattempo sono intervenuti.

E il dramma  – per dirla con le parole di Acito –  è che queste nuvole che continuano a minacciare la popolazione lucana e in particolare quella del Materano non hanno bisogno di autorizzazione e non aspettano nessuno.

m.labanca@luedi.it

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