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UN incontro al bar, cento ettari di terreno coltivati a finocchi. E un’icona dell’antimafia che finisce nel fango e viene arrestata. Sono numerose le intercettazioni che nelle indagini condotte dalla Guardia di finanza e coordinate dal sostituto procuratore generale Salvatore Curcio, ricostruiscono un intreccio mafioso-amministrativo a Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Un intreccio che ha inguaiato Carolina Girasole per la quale sono stati disposti i domiciliari nel corso di un’operazione antimafia che ha portato a 13 ordinanze di custodia cautelare, coinvolgendo anche il boss Nicola Arena e un poliziotto accusato di aver passato notizie alla cosca (LEGGI).
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“CREDEVO NEL SUO IMPEGNO ANTIMAFIA” – Per l’ex sindaco, vittima in passato di intimidazioni e indicata più volte come amministratrice antimafia (LEGGI IL PROFILO), appare uno scenario inquietante. Tanto da lasciare interdetta chi la sostenne direttamente, come Doris Lo Moro, che fu sua collega di partito nel Pd prima che Carolina Girasole venisse candidata da Monti per il Parlamento. «Ho creduto molto nell’attività antindrangheta di Carolina Girasole. L’ho conosciuta e sostenuta in un lavoro pieno di ostacoli e di insidie» dice la senatrice democratica, ricordando la chiusura della campagna elettorale del 2008 a Isola Capo Rizzuto: «Io c’ero e ricordo la durezza del suo discorso contro le cosche».
L’INCONTRO COL MARITO E I MILLE VOTI DEL CLAN – Proprio in quella tornata elettorale, secondo la ricostruzione dei magistrati, il clan portò alla Girasole oltre mille voti: 1.350, per la precisione, secondo l’ordinanza firmata dal gip. «Glielo direi io come ha preso i voti», dice in un’intercettazione Pasquale Arena, uno degli arrestati, figlio del boss Nicola Arena e attuale dirigente della squadra di calcio di Isola Capo Rizzuto. E un altro figlio del padrino, Massimo (arrestato anche lui), durante un dialogo riferisce di un colloquio avuto con Franco Pugliese, marito di Carolina Girasole. «Non possiamo dirlo che gli abbiamo dato i voti» dice riferendosi al sindaco e poi aggiunge: «Il marito è venuto avanti al bar dicendo…i raccomando qua..la…proprio il marito». E poi, a sottolineare: «Mille voti!». L’interlocutore invitava infatti Massimo Arena a chiamare Pugliese per sottoporgli il problema che affliggeva la cosca.
UN MILIONE DI EURO: IL TESORO DEI FINOCCHI – Ci si trova nell’ottobre 2010, due anni dopo l’elezione di Carolina Girasole. Gli Arena, scirve il gip nell’ordinanza, comprendono che è ormai imminente il passaggio con il quale perderanno definitivamente il controllo di alcuni terreni confiscati che andranno sotto il controllo del Comune. Su quei campi, in barba alla legge, la cosca aveva continuato a coltivare finocchi e a quel punto c’era il rischio di perdere il guadagno legato al raccolto. Non si tratta di spiccioli: la somma è stimata in un milione di euro. L’obiettivo, quindi, era limitare i danni della perdita dei terreni procedendo comunque alla vendita degli ortaggi. Secondo il giudice per le indagini preliminari, «tale progetto incredibilmente riceveva l’appoggio del sindaco, al tempo, del Comune di Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole, alla quale gli Arena si rivolgevano esplicitamente per raggiungere il loro obiettivo».
“IL SINDACO? SE POTEVA MI AIUTAVA” – Nei giorni in cui il Comune decideva sulla questione, secondo le prove documentate con rilievi di posizione gps, più volte gli esponenti del clan incontrarono il marito del sindaco. In un primo momento, infatti, il sindaco avrebbe risposto alle pressioni affermando che non dipendeva da lei e che la questione era gestita dalla prefettura. E secondo gli inquirenti risulta un contatto diretto tra il sindaco e Massimo Arena. Giorni dopo il boss Nicola Arena dirà: «Se il sindaco poteva fare qualcosa per me la faceva».
LA CASSA DI ORTAGGI “PER RINGRAZIARE” – Poi, però, la gestione arriva nelle mani dell’amministrazione locale. A dicembre 2010 gli uomini della cosca dialogano commentando una lettera ufficiale della prefettura, finita misteriosamente nelle loro mani: è l’atto che attribuisce al Comune le decisioni sui terreni. E prima ancora che venisse pubblicato il bando per la vendita dei finocchi, il boss già discuteva dei prezzi. Il bando, su proposta del sindaco, prevedeva la concessione del servizio di coltivazione. Ci pensarono Massimo e Nicola Arena a progettare l’infiltrazione: tutti i soggetti che si sono fatti avanti erano in contatto con loro. E secondo il gip, le cifre stabilite come base d’asta «erano talmente irrisorie da essere quasi incredibili». E ai familiari del sindaco Girasole, secondo la ricostruzione degli inquirenti, venne consegnata una cassa di finocchi. Segno «di rispetto e stima». E conferma, secondo l’accusa, che erano stati tutelati gli interessi degli Arena «con totale pregiudizio per il pubblico interesse».
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