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di LEO AMATO
POTENZA – Il presidente che ha approvato il rimborso per il “suo” dg dovrà risarcire 30mila euro. Mentre quest’ultimo che lo aveva rassicurato sulla legittimità dello stesso, proprio lui che ne era il beneficiario predestinato, potrebbe essere chiamato a mettere le mani al portafogli di qui a breve per altri 10mila. 
E’ quanto ha deciso giovedì la Corte dei conti di Potenza condannando l’ex presidente dell’Ater di Matera Angelo Raffaele Sardone.
Al centro della contestazione mossa dal pm della procura contabile del capoluogo Michele Oricchio ci sono alcune delibere a sua firma del 2007. Al suo interno Sardone precisava i termini dell’incarico di direttore generale appena affidato a Pasquale Basso spiegando che al punto in cui si leggeva che «al direttore compete il rimborso delle spese di viaggio e di trasferta», per “spese di viaggio” si sarebbero dovute intendere anche «quelle sostenute dal direttore per raggiungere la sede dell’ente dalla sua residenza », e non soltanto quelle collegate a missioni per conto dell’ente.
Il direttore generale è rimasto in carica da aprile del 2007 a ottobre del 2010 godendo anche di una riconferma nel 2008 dopo che l’Agenzia autonoma per la gestione dei segretari comunali l’aveva collocato a riposo per raggiunti limiti d’età. Ed è proprio con la buonuscita che avrebbe incassato 40mila per le spese di viaggio sostenute nei 3 anni d’incarico. 
Anche Sardone sarebbe rimasto ai vertici dell’Ater fino alla fine del 2010. Poi a novembre del 2012 ha ricevuto l’«invito a dedurre» da parte della procura contabile in cui gli venica contestata come «assolutamente dannosa la previsione – contenuta nel relativo contratto – di rimborsargli (riferito a Basso, ndr) le spese di viaggio per raggiungere il posto di lavoro a ciò ostandovi sia il principio dell’onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti sia il fatto che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche – qualunque  sia il contratto di lavoro in essere – devono normalmente risiedere  sul posto di lavoro, dovendo ogni forma di pendolarismo essere autorizzata ed effettuata a rischio, pericolo e costi dell’interessato».
 L’ex presidente si è difeso sostenendo di essere stato in «perfetta buona fede» convinto com’era che quello del direttore generale fosse «un contratto di natura privatistica in cui la previsione del rimborso spese viaggio era stata deliberata su conformi pareri favorevoli degli organi tecnici». Ovvero lo stesso direttore generale. 
D’altra parte la procura contabile ha evidenziato che l’Ater è sempre «un ente strumentale della Regione Basilicata e, come tale, è preminente la natura pubblica del datore di lavoro (…) che, quando procede a stipulare un contratto di lavoro di tipo privatistico, deve comunque indirizzare la propria   azione al rispetto dei canoni di trasparenza ed efficienza».
Il comportamento insomma è apparso «connotato da inescusabile negligenza delle più elementari regole di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa». 
Fin qui la tesi della procura, su cui il collegio presieduto da Maurizio Tocca, assistito dal relatore Vincenzo Pergola e dal giudice a latere Giuseppe Tagliamonte, ha operato più di qualche distinguo. 
«Il collegio – scrive Vincenzo Pergola –  ritiene pienamente condivisibile l’assunto attoreo nella parte in cui sottolinea che il rimborso delle spese di viaggio per raggiungere il posto di lavoro “non è previsto da alcuna norma primaria o secondaria e che contravviene al principio consolidato secondo il quale il pubblico dipendente  deve risiedere nel posto di lavoro salvo espressa autorizzazione in deroga nel qual caso rischi e costi del viaggio sono a suo carico, con esonero della pubblica amministrazione da ogni responsabilità”».
Di qui la condanna ma solo per 30mila dei 40mila euro in questione visto che lo stesso direttore generale aveva «espresso parere di legittimità positivo per quanto riguarda» due di quelle delibere. «A fronte delle perplessità evidentemente sollevate dagli uffici predisposti», conclude il collegio. Tanto da concorrere in quota del 10% a causare «l’illegittimo ed antieconomico rimborso delle spese necessarie al Direttore per raggiungere l’ordinaria sede di servizio in Matera, distante circa  Km 170 dalla sua residenza in Trecchina». Una quota che adesso il pm contabili potrebbero cercare di recuperare con un procedimento distinto. 

POTENZA – Il presidente che ha approvato il rimborso per il “suo” dg dovrà risarcire 30mila euro. Mentre quest’ultimo che lo aveva rassicurato sulla legittimità dello stesso, proprio lui che ne era il beneficiario predestinato, potrebbe essere chiamato a mettere le mani al portafogli di qui a breve per altri 10mila. 

E’ quanto ha deciso giovedì la Corte dei conti di Potenza condannando l’ex presidente dell’Ater di Matera Angelo Raffaele Sardone.

Al centro della contestazione mossa dal pm della procura contabile del capoluogo Michele Oricchio ci sono alcune delibere a sua firma del 2007. Al suo interno Sardone precisava i termini dell’incarico di direttore generale appena affidato a Pasquale Basso spiegando che al punto in cui si leggeva che «al direttore compete il rimborso delle spese di viaggio e di trasferta», per “spese di viaggio” si sarebbero dovute intendere anche «quelle sostenute dal direttore per raggiungere la sede dell’ente dalla sua residenza », e non soltanto quelle collegate a missioni per conto dell’ente.

l direttore generale è rimasto in carica da aprile del 2007 a ottobre del 2010 godendo anche di una riconferma nel 2008 dopo che l’Agenzia autonoma per la gestione dei segretari comunali l’aveva collocato a riposo per raggiunti limiti d’età. Ed è proprio con la buonuscita che avrebbe incassato 40mila per le spese di viaggio sostenute nei 3 anni d’incarico. 

Anche Sardone sarebbe rimasto ai vertici dell’Ater fino alla fine del 2010. Poi a novembre del 2012 ha ricevuto l’«invito a dedurre» da parte della procura contabile in cui gli venica contestata come «assolutamente dannosa la previsione – contenuta nel relativo contratto – di rimborsargli (riferito a Basso, ndr) le spese di viaggio per raggiungere il posto di lavoro a ciò ostandovi sia il principio dell’onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti sia il fatto che i dipendenti delle amministrazioni pubbliche – qualunque  sia il contratto di lavoro in essere – devono normalmente risiedere  sul posto di lavoro, dovendo ogni forma di pendolarismo essere autorizzata ed effettuata a rischio, pericolo e costi dell’interessato». 

L’ex presidente si è difeso sostenendo di essere stato in «perfetta buona fede» convinto com’era che quello del direttore generale fosse «un contratto di natura privatistica in cui la previsione del rimborso spese viaggio era stata deliberata su conformi pareri favorevoli degli organi tecnici». 

Ovvero lo stesso direttore generale. D’altra parte la procura contabile ha evidenziato che l’Ater è sempre «un ente strumentale della Regione Basilicata e, come tale, è preminente la natura pubblica del datore di lavoro (…) che, quando procede a stipulare un contratto di lavoro di tipo privatistico, deve comunque indirizzare la propria   azione al rispetto dei canoni di trasparenza ed efficienza».

Il comportamento insomma è apparso «connotato da inescusabile negligenza delle più elementari regole di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa». 

Fin qui la tesi della procura, su cui il collegio presieduto da Maurizio Tocca, assistito dal relatore Vincenzo Pergola e dal giudice a latere Giuseppe Tagliamonte, ha operato più di qualche distinguo. 

«Il collegio – scrive Vincenzo Pergola –  ritiene pienamente condivisibile l’assunto attoreo nella parte in cui sottolinea che il rimborso delle spese di viaggio per raggiungere il posto di lavoro “non è previsto da alcuna norma primaria o secondaria e che contravviene al principio consolidato secondo il quale il pubblico dipendente  deve risiedere nel posto di lavoro salvo espressa autorizzazione in deroga nel qual caso rischi e costi del viaggio sono a suo carico, con esonero della pubblica amministrazione da ogni responsabilità”».

Di qui la condanna ma solo per 30mila dei 40mila euro in questione visto che lo stesso direttore generale aveva «espresso parere di legittimità positivo per quanto riguarda» due di quelle delibere. 

«A fronte delle perplessità evidentemente sollevate dagli uffici predisposti», conclude il collegio. Tanto da concorrere in quota del 10% a causare «l’illegittimo ed antieconomico rimborso delle spese necessarie al Direttore per raggiungere l’ordinaria sede di servizio in Matera, distante circa  Km 170 dalla sua residenza in Trecchina». 

Una quota che adesso il pm contabili potrebbero cercare di recuperare con un procedimento distinto. 

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