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POTENZA – Non è la prima volta che si trova immerso in una emergenza di queste dimensioni. Psicologo specializzato in situazioni di crisi, Michele c’era tra le tende dell’Abruzzo terremotato e c’era tra i banchi della scuola di Brindisi che perdeva Melissa e la serenità con quella bomba esplosa all’ingresso. «Ogni volta c’è sempre un pezzo della storia che ci investe».
Questa volta tocca a Olbia e al circondario, lì, nell’isola.
Questa volta Michele Grano, potentino, 31 anni ed elevata specializzazione, è in Sardegna, con gli altri del team del centro “Alfredo Rampi” di Roma. Professionisti abituati ad affrontare l’emergenza, a curare il dolore e accompagnare le popolazioni nella ripartenza, nel riprendersi una quotidianità.
Il centro si occupa, tra le varie cose, di gestione dell’emergenza in particolare con i minori e le loro famiglie. «Lavoriamo su attivazione di qualche ente, con il 118 o magari la Protezione civile. In questo caso, in Sardegna, siamo stati chiamati a intervenire da Save The Children, con cui il centro è convenzionato».
Nelle scuole di Olbia la normalità ancora non è stata ripristinata. «Non è possibile per la didattica, l’alluvione si è portata via materiale, banchi, libri. Ma non è possibile neanche sul versante psicologico; sia i ragazzi, sia i docenti hanno tutto il diritto di essere turbati».
Si procede così, in questi giorni: con i piccoli studenti in classe di giorno, con gli insegnati che chiedono di imparare ad affrontare l’accaduto nel pomeriggio.
«Non è solo l’evento in sè, ma anche il continuo pensiero all’evento che potrebbe tornare. Così accade che anche gesti normali facciano paura, come fare una doccia per esempio. Elementi della quotidianità, diventano “nemici”, l’acqua o la terra dopo il sisma – racconta Michele -. L’alluvione è stata “fuori”, ma è anche dentro le persone. Le emozioni forti sono legittime, proviamo a tirarle fuori, proviamo a fare in modo che non restino con questo macigno dentro».
Nei luoghi dove l’alluvione ha lasciato lutto, devastazione, fango, vittime, i professionisti dell’emergenza lavorano anche su una cultura che accompagna tutti noi, è tipico delle popolazioni occidentali. «Siamo abituati a mettere un tappo sulle emozioni».
Dall’Abruzzo alla Sardegna, passando per la Puglia e i corsi di specializzazione con la Protezione civile lucana.
«Ci sono cose che ritornano, altre che hanno a che fare con paure specifiche del singolo caso. È molto importante calarsi nella comunità, immergersi subito, imparare usanze, abitudini. Anche una cena diventa un momento utile a capire, osservare, parlare».
Terminato l’intervento di emergenza in Sardegna, Michele farà di nuovo tappa in Basilicata, dove partecipa da formatore a un corso destinato al volontariato di protezione civile, attivato sulla ricerca di persone scomparse dal CSV di Basilicata.
«I volontari sono i primi a chiedere l’aggiornamento, sono affamati di competenze. Sanno che dovranno magari montare una tenda, ma che durante quell’attività si imbatteranno in cittadini colpiti dal trauma. Nel Paese abbiamo una macchina di soccorso efficiente, che spesso il mondo prende a modello. Ma c’è una battaglia culturale che con il centro “Rampi” portiamo avanti e riguarda l’idea di preparare in anticipo la risposta delle popolazioni all’eventuale emergenza».
Prima della fase critica, quella che adesso abbiamo imparato un po’ a conoscere guardando le storie della Sardegna ferita e alluvionata. Michele sarà lì ancora per alcuni giorni, nelle scuole, negli asili. «Proviamo a normalizzare, accogliamo le risposte emotive che sono del tutto legittime».
Piano piano «inseguiamo il ritorno alla normalità».
s.lorusso@luedi.it
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