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POTENZA – Anche in questo ranking ne usciamo con le ossa rotte. La Basilicata non è neanche produttiva: men che meno se relazioniamo questa produttività al territorio dove proliferano le attività economiche. Ed è l’ennesima bandiera nera, soprattutto per Potenza. Il tutto è contenuto in un libro “Le cento italie della competitività”, scritto da Stefano Manzocchi, Beniamino Quintieri e Gianluca Santoni e licenziato dalla casa editrice Rubbettino per la collana Fondazione Manlio Masi. In questo libro c’è tutto, uno studio sistematico sul rapporto tra territorio e produttività sulla base di fattori fondamentali.

«In prospettiva – si legge in un passaggio –  creare e sviluppare imprese sul territorio dipenderà sempre più dal cosiddetto “capitale immateriale”. Capitale umano, qualità delle istituzioni, tasso di criminalità, modelli di governance: è qui che, come nel caso dello sviluppo finanziario, le differenze tra i territori italiani “mordono” di più.

Ad esempio, non è solo la spesa aggregata in Ricerca e Sviluppo che divide il Paese, ma quella delle imprese: quest’ultima è decisiva per la crescita dimensionale, la diversificazione industriale, l’attrazione di nuove aziende sul territorio. Non è strano che questa si concentri laddove le imprese sono più presenti, ma è altresì necessario che questa spesa per l’innovazione si combini con il “fattore umano”: alti tassi di scolarizzazione, più diplomati e laureati nelle discipline che l’industria richiede.

In Italia, solo di recente si sta davvero considerando che il “Soft Capital” potrebbe avere un impatto almeno pari a quello delle infrastrutture materiali». Quindi sappiamo già da dove partire: dalla ricerca (e la Basilicata è terzultima per la quantità di brevetti presentati con una percentuale del 5,7) e dai laureati. E anche qui la Basilicata prende un tonfo pesantissimo, terzultima ancora una volta per numero di laureati in materie scientifiche, che sono poi quelle che interessano più all’industria. La percentuale, rispetto alla media italiana che è del 10,8%, la Basilicata è ferma al 4,9. Fanno peggio solo Valle d’Aosta e Molise.

Dunque quanto il territorio lucano influenza le imprese? Poco e malissimo se si bada ai cinque fattori esterni, nel senso che non dipendono dalle aziende in sé ma riguardano strettamente l’ambiente (e la politica quindi) circostante. Primo punto: le infrastrutture viarie, quelle telematiche e di supporto alle aziende. La Basilicata è troppo indietro a livello infrastrutturale, ma guadagna su un altro punto, il tasso di criminalità, che però si unisce ad altri due aspetti: la qualità della Pubblica amministrazione e delle istituzioni locali. Altro punto è invece lo sviluppo del sistema finanziario territoriale e i sistemi di governance. Segue la qualità delal forza lavoro (molto bassa) e il tasso di innovazione (anch’esso molto basso) e le variabili, infine, di controllo a livello di impresa.

Il risultato è un ranking da vergogna: Potenza è penultima al 102esimo posto. Dietro di lei ci sta soltanto Foggia, considerata la peggiore area dove poter creare un’impresa aspettandosi attenzione e tutela da parte del territorio. Matera fa un po’ meglio, ma non è affatto positiva. Nel ranking guadagna il 74esimo posto.

E anche qui ci entra la finanza mondiale e lo stato di crisi che hanno letteralmente bloccato la programmazione. Ma il discorso è chiaro: il sistema amministrativo non è adeguato alla promozione e allo sviluppo delle imprese in Basilicata. Alla fine i tre autori nel saggio scoprono l’acqua calda: il gap tra Nord e Sud è enorme e difficilmente recuperabile. In questo caso neanche si riesce a far nascere impresa da queste parti.

v.panettieri@luedi.it

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