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TITO – «La signora Mariotti è stata la mia insegnante alle scuole medie. Conoscevo il padre farmacista e insegnante a sua volta. Conosco la sorella dei due bambini da quando eravamo piccoli. E’ stato un errore quello che è successo. Un errore terribile. Ma niente di più».
Si tocca il petto Tito Pasquale Scavone quando parla del caso dei due bimbi scomparsi dal cimitero del paese.
Sindaco, che cosa è successo?
«Guardate, me ne assumo la responsabilità per il ruolo che ricopro. Vorrei solo chiarire che si tratta di fatti risalenti agli anni ‘80 quando il Comune non era certo in mano mia».
E’ chiaro, ma che cosa avete fatto in questi mesi?
«Quando è arrivata la richiesta della dottoressa Maria Chiara Mariotti ci siamo attivati subito per venirle incontro. Poi anche noi abbiamo dovuto prendere atto che era avvenuto qualcosa di terribile. Non ci sono altre parole per descrive una cosa del genere. Io ne sono convinto. Non è accettabile trovare degli estranei al posto dove per anni si è creduto che ci fossero i propri cari, peraltro dei neonati. E’ da queste cose che si vede la civiltà di un paese, dal modo in cui viene gestito il cimitero. Tant’ è vero che qui a Tito abbiamo approvato anche un regolamento che prevede che ognuno abbia diritto a un loculo e che vengano assegnati in ordine rigorosamente cronologico. Qui non c’è la possibilità di commerciarli come è avvenuto altrove».
Mai una denuncia per traffici di questo tipo?
«Mai una. E’ proprio impossibile».
Perciò che avete fatto di fronte a una donna che chiede di riavere i resti dei suoi fratellini?
«Le abbiamo scritto una lettera di scuse. Abbiamo sentito chi ha effettuato le operazioni di traslazione, che purtroppo non è stato in grado di ricordare come sono andare le cose. Che altro possiamo fare? Aprire tutti gli ossari del cimitero?»
Tutti no, ma almeno la stecca dove -non- si trovano i due bimbi?
«Il punto – spiega il responsabile dei servizi demografici Franco Tunisi – è che all’epoca non veniva seguito uno schema preciso per l’assegnazione degli ossari. Come se ne liberava uno veniva riempito. Per questo anche quelli attorno potrebbero risalire ad epoche diverse».
Ma è più probabile che se è stato davvero solo un errore sia stato fatto con una celletta vicina.
«Poi c’è il problema di riuscire a stabilire davanti a dei resti di 50 anni fa a chi siano appartenuti».
Per questo si potrebbe utilizzare il Dna, confrontandolo con quello della dottoressa Mariotti. Si potrebbe anche chiedere il nulla osta ai familiari dei defunti nelle cellette vicine per effettuare le operazioni. E’ difficile che qualcuno dica di no di fronte a questa situazione.
«Faremo tutto il possibile – conclude il sindaco – incluso provare a risentire l’operaio se mai dovesse riuscire ad aiutarci a restringere le ricerche ricordando più o meno le cellette che sono state assegnate in quel periodo».
Spese?
«Ovviamente a carico dell’amministrazione. Ci mancherebbe».
l.amato@luedi.it
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