Si terranno alle 15.30 nella chiesa di Betlemme i funerali di Vito Di Canio
Grido d’aiuto e mondo indifferente
«La prossima volta accendi prima il riscaldamento, non farci soffrire il freddo»
di MARIANO PATURZO
Una telefonata pochi minuti fa: -sai si è ucciso Vito del duetorri…. Che dici ieri sera ci siamo riuniti per stilare…. Ma aspetta chi Vito… Vito Di Canio-. Chiudo il telefono. Mia moglie mi chiede: «Cos’hai, che ti prende?». Non riesco a rispondere. Poi quasi afono le comunico che si suicidato al Due Torri Vito Di Canio. Che pensare? Che dirsi, come spiegarlo. Sconcerto, smarrimento. Fai fatica a credere che poche ore prima s’era entusiasmato ad ascoltare la lettura che Giuffreda, l’altro Vito, suo fraterno amico da sempre, faceva del progetto per rilanciare l’attività del cineteatro. Qualche puntualizzazione qua e là per capire meglio i tempi, i modi. «Mi pare una cosa giusta…. Si. Bene. Forse è la strada migliore per richiamare l’attenzione anche sulla crisi che stiamo vivendo». Quello che ha compiuto Vito è l’azione più personale che un individuo possa compiere. E’ come una dura sfida al mondo che lo circonda. Ha scambiato i suoi fantasmi interni di rivendicazione come se questi fossero “un’ulteriore possibilità” cosa che in effetti non ci sarà più. Vito Di Canio – credo – abbia fatto proprio il desiderio di non-esistenza come momento catartico di rinascita e di riaffermazione del proprio se. Voglio pensare – ora – all’idea delirante della morte in cui il corpo viene ucciso ma non lo spirito. Voglio credere alle fantasie di morte in fantasie di una pace profonda e di una liberazione dalle pene e traversie. Resta la domanda del perché, della morte vagheggiata. Che diventa una scelta che viene agìta. Nel silenzio che ora ne segue rimane soltanto lo sgomento per una realtà inattingibile e per un distacco voluto e per ciò più doloroso e lacerante. Una disperata richiesta d’aiuto urlato a un mondo indifferente e distratto. E’ la fine di una vicenda interiore che fa aprire improvvisamente gli occhi sulla penosità della propria impotenza di vivere. Un grido d’aiuto, talvolta una vendetta ma certamente la manifestazione eclatante del bisogno di “una rigenerazione totale”. Ciao maledetto testa dura. La prossima volta accendi un po’ prima il riscaldamento, non farci soffrire il freddo.
Una telefonata pochi minuti fa: -sai si è ucciso Vito del duetorri…. Che dici ieri sera ci siamo riuniti per stilare…. Ma aspetta chi Vito… Vito Di Canio-. Chiudo il telefono. Mia moglie mi chiede: «Cos’hai, che ti prende?». Non riesco a rispondere. Poi quasi afono le comunico che si suicidato al Due Torri Vito Di Canio. Che pensare? Che dirsi, come spiegarlo. Sconcerto, smarrimento. Fai fatica a credere che poche ore prima s’era entusiasmato ad ascoltare la lettura che Giuffreda, l’altro Vito, suo fraterno amico da sempre, faceva del progetto per rilanciare l’attività del cineteatro. Qualche puntualizzazione qua e là per capire meglio i tempi, i modi. «Mi pare una cosa giusta…. Si. Bene. Forse è la strada migliore per richiamare l’attenzione anche sulla crisi che stiamo vivendo».
Quello che ha compiuto Vito è l’azione più personale che un individuo possa compiere. E’ come una dura sfida al mondo che lo circonda. Ha scambiato i suoi fantasmi interni di rivendicazione come se questi fossero “un’ulteriore possibilità” cosa che in effetti non ci sarà più. Vito Di Canio – credo – abbia fatto proprio il desiderio di non-esistenza come momento catartico di rinascita e di riaffermazione del proprio se. Voglio pensare – ora – all’idea delirante della morte in cui il corpo viene ucciso ma non lo spirito. Voglio credere alle fantasie di morte in fantasie di una pace profonda e di una liberazione dalle pene e traversie. Resta la domanda del perché, della morte vagheggiata. Che diventa una scelta che viene agìta. Nel silenzio che ora ne segue rimane soltanto lo sgomento per una realtà inattingibile e per un distacco voluto e per ciò più doloroso e lacerante. Una disperata richiesta d’aiuto urlato a un mondo indifferente e distratto.
E’ la fine di una vicenda interiore che fa aprire improvvisamente gli occhi sulla penosità della propria impotenza di vivere. Un grido d’aiuto, talvolta una vendetta ma certamente la manifestazione eclatante del bisogno di “una rigenerazione totale”. Ciao maledetto testa dura. La prossima volta accendi un po’ prima il riscaldamento, non farci soffrire il freddo.