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IL PETROLIO non è una scelta della Basilicata. E’ una necessità, dettata, se non imposta, da condizioni normative, strategie politiche-economiche nazionali, rapporti di forza.
Le classi dirigenti lucane, ad uno dei tanti tornanti della questione energetica in Basilicata, quella degli anni ’90, hanno adottato il metodo del negoziato per monitorare impatto ed effetti, guadagnare misure ristoratrici, ottenere benefici di contesto (infrastrutture, essenzialmente). A quindici anni dall’accordo del ’98 di deve constatare che lo Stato non ha adempiuto ai suoi obblighi (investimenti infrastrutturali), le royalties sono essenzialmente servite per sostituire i minori trasferimenti statali e mantenere servizi essenziali (sanità e istruzione, per lo più), per dare un po’ di sostegno ad imprese e territori della Val d’Agri, cofinanziare politiche di coesione sociale.
In questi tre lustri è aumentata la coscienza del rischio, la consapevolezza degli effetti, la conoscenza dei processi, la criticità e la implementazione dei servizi di monitoraggio e tutela, ma soprattutto si è accresciuta enormemente il sentimento di insoddisfazione e di avversione per i mancati benefici sociali.
Si avverte la contraddizione stridente fra il petrolio visto come ricchezza e la terra da dove viene estratta vista come povertà, sotto il profilo sociale. La crisi economica e soprattutto l’aumento della disoccupazione, con la conseguente ripresa dell’emigrazione, in particolare di quella intellettuale, sono fattori di frattura, se non vera e propria rottura, sociale ma anche democratica.
In cinque anni, dal 2007 al 2012, quasi 28mila lucani hanno perso il lavoro, hanno accettato contratti precari oppure sono finiti in cassa integrazione. A dirlo è il rapporto del centro studi Sintesi, basato su dati Istat, che ha inquadrato la situazione della regione Basilicata, ancora in lotta per uscire dallo stallo economico. In pratica il 32 per cento dei cittadini si trova in una condizione di ristrettezza economica o di totale mancanza di lavoro. E, stando ai dati della Banca d’Italia, il tasso di disoccupazione nella fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni è aumentato di 5,1 punti, portandosi al 28,2 per cento.
Serve una terapia shock, per rispondere all’emergenza sociale, ma anche per riconquistare un accettabile livello di condivisione e di fiducia democratica.
Il lavoro è lo snodo essenziale e ineludibile per una ricomposizione sociale e democratica.
Dal petrolio deve venire una risposta nuova e solida. Due sono le strade da percorrere con risolutezza e tenacia.
Le compagnie petrolifere che estraggono o estrarranno in Basilicata devono investire in questa regione, qui ed ora, per realizzare e sviluppare loro attività diverse da quelle estrattive, collegate o meno ad esse non rileva, per generare una consistente e diversificata domanda di lavoro, in grado di creare, nell’arco di un biennio, 2-3mila posti di lavoro. Attività manifatturiere, servizi, ricerca sono settori nei quali le compagnie già operano, che possono e devono dislocare in Basilicata.
Sono richieste e proposte concrete e realistiche, alcune delle quali già sperimentate in altre arre del Paese: Ferrera Erbognone è un paese in provincia di Pavia di poco più di mille abitanti che ospita una centrale elettrica dell’Eni. Qui, nell’arco di due anni, dall’ottobre 2011 all’ottobre scorso, Eni ha realizzato il datacenter più efficiente a livello mondiale in termini di efficienza energetica, superando anche Google. A regime darà lavoro a 2.800 persone, tra cui molti tecnici qualificati.
In Abruzzo, a partire dal 2009, Eni accoglie presso le proprie strutture di ricerca, 50 tra ricercatori e dottorandi dell’Ateneo dell’Aquila. Inoltre, sta realizzando un nuovo Centro di ricerca per l’Università dell’Aquila focalizzato principalmente su energia e ambiente, dotato di una struttura alloggio per ricercatori e studenti dalla capacità di 100 posti, ospiterà 50 laboratori, oltre ad aree tecniche, aule e uffici, e sarà realizzato utilizzando tecnologie sostenibili e fonti energetiche rinnovabili. Il Centro sarà ceduto all’Università dell’Aquila. E questi sono soltanto due esempi. Nel quadriennio 2012- 2015 Eni ha previsto di investire circa 1,6 miliardi di euro mirati principalmente al rilancio dei siti italiani e a nuovi centri di ricerca. La Basilicata non può restare fuori da investimenti che servano a creare occupazione qualificata e opportunità per i giovani.
In secondo luogo, le compagnie devono finanziare per dieci anni due progetti straordinari della regione nel campo ambientale e in quello dei beni culturali.
Si consideri che, attualmente, la regione spende fra i 50 e 60 milioni di euro all’anno per finanziare la forestazione e il progetto Vie Blu, che insieme impiegano circa 5.000 unità. Con una identica spesa annua, a carico delle compagnie, possono impegnarsi altrettante unità in settori strategici (manutenzione territorio e beni culturali) per la regione. Questi possono essere i primi tasselli di un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile che dovrebbe essere varato nei primi 100 giorni della legislatura dal nuovo governo regionale. Su altri punti essenziali di questo piano si avrà modo di ritornare, ma quelli innanzi prospettati sono interventi decisivi, che hanno il pregio di produrre immediatamente effetti sociali positivi, evitando lungaggini burocratiche proprie degli investimenti pubblici. L’altro risvolto positivo consiste nel potenziale recupero di una visione più razionale e serena della controversa attività estrattiva. Anche il cosiddetto memorandum ne trarrà beneficio, vincendo il sospetto che sia un ulteriore programma di buone intenzioni. Ne va del futuro di intere generazioni e della stessa regione.
* presidente del Consiglio regionale
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