REGGIO CALABRIA – Una procedura truffaldina e un conseguente danno erariale di circa 270.000 euro. Questa la somma che un’impiegata della sede dell’Inps di Reggio Calabria dovrà pagare secondo la sentenza di condanna emessa dalla sezione giurisdizionale della Corte dei conti. Secondo le contestazioni, tutto era nato da una constatazione causale di alcune anomalie nelle operazioni contabili registrate presso la sede reggina dell’Inps dove era stato accertato che la donna, Natalizia Critelli, aveva effettuato dei pagamenti a favore di beneficiari non aventi diritto, tutti amici o, comunque persone compiacenti, mediante l’inserimento di dati falsi nel sistema informatico. In particolare, la procedura truffaldina “consisteva nell’effettuare falsi accreditamenti, cui seguiva il pagamento privo di supporto cartaceo, lo storno dell’accredito, nonché la sistemazione con altre partite contabili”.
Episodi per i quali la donna era stata sottoposta a procedimento disciplinare che si è concluso con il licenziamento (atto, tra l’altro, impugnato) nonché a procedimento penale, tutt’ora pendente per i reati di truffa e falso. Affiancata dall’avvocato Domenico Doldo, l’impiegata ha sempre sostenuto la mancanza di prove in riferimento alla sua responsabilità, affermata nel procedimento disciplinare svolto dall’istituto previdenziale. Tutto l’impianto accusatorio secondo il legale, era poggiato sull’utilizzo della password che, come emergeva dagli atti, era conosciuta da altri operatori Inps e da altri aveva sostenuto, era stata utilizzata per esigenze di ufficio. Tuttavia dalle relazioni redatte dalla responsabile dell’Ufficio di Ragioneria, veniva fuori che la verifica era stata effettuata ripercorrendo i flussi di lavorazione ed effettuando controlli incrociati tra scritture contabili e riscontri cartacei. Nel sistema informatico della contabilità venivano registrate contabili di accredito apparentemente emesse da una banca ma in realtà inesistenti; subito dopo la somma prevista veniva assegnata a beneficiari, imputandola ad un conto di gestione dove venivano registrati pagamenti di beneficiari non andati a buon fine in attesa di essere riemessi.
Successivamente la stessa utenza – appartenente al nome della donna – inseriva i dati necessari per avviare le procedure, in uso all’ufficio di Ragioneria, per il pagamento delle somme a favore dei beneficiari, emetteva dei bonifici domiciliati ed infine stornava la contabile di accredito utilizzando non più le partite attribuite ai beneficiari, ma altre giacenti nel partitario intestate a soggetti del tutto estranei alle predette operazioni. L’informativa della polizia postale aveva fatto emergere che la donna era in servizio nei giorni in cui erano state effettuate le operazioni indebite e che aveva avuto rapporti diretti o indiretti – attraverso persone coimputate nel procedimento penale – con i beneficiari dei pagamenti indebiti che hanno, tutti, restituito gli importi riscossi presso lo sportello postale. Infine, le perquisizioni effettuate dalla polizia postale avevano portato al ritrovamento sia a casa della donna che in ufficio, di documentazione inerente ai pagamenti indebiti e, particolarmente significativo, si evidenziava nelle carte, era stato il tentativo sventato dai militari durante la perquisizione di strappare al fine dell’occultamento, un foglio a stampa custodito nella borsetta.