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CASTROVILLARI – L’allegamento dell’area archeologica di Sibari potrebbe facilmente ripetersi di nuovo, anche quest’anno; perché la foce “naturale” del fiume Crati è ostruita da un imponente manufatto turistico, e non c’è manutenzione adeguata sul “nuovo” alveo del fiume. 

È questo il senso della drammatica e fredda analisi di Carlo Tansi (GUARDA IL VIDEO DELL’INTERVISTA), geologo dell’Irpi-Cnr di Rende che ha studiato l’area anche in qualità di consulente tecnico per conto della procura di Castrovillari che l’anno scorso ha aperto un’inchiesta per appurare le cause e le responsabilità dell’esondazione del Crati e l’allagamento degli scavi di Sibari del 18 gennaio scorso. Inchiesta che nelle scorse settimane è approdata all’emissione, da parte del pubblico ministero, di 40 avvisi di proroga delle indagini, nei confronti di altrettante persone tra le quali la direttrice del museo archeologico della Sibaritide, Silvana Luppino, l’attuale sindaco di Cassano allo Jonio, Giovanni Papasso, e due ex primi cittadini, Gianluca Gallo, attuale consigliere regionale della Calabria, e Domenico Lione. E poi, anche il commissario straordinario per l’emergenza idrogeologica della Regione Calabria, Domenico Percolla; due funzionari dei settori Difesa del suolo e Protezione civile della Provincia di Cosenza; un funzionario dell’Autorità di Bacino regionale; alcuni funzionari e dipendenti dell’ex Afor, l’azienda per la forestazione della Calabria. 
Nella lista – nella quale figurano i proprietari di molti terreni agricoli che confinano con l’alveo del fiume invaso dagli agrumeti – non risulterebbero, però, né i costruttori né la cooperativa proprietaria della struttura turistica costruita negli anni Settanta da ricchi friulani – costruttori del Gruppo Furlanis, a quel tempo impegnato nella realizzazione di un tratto dell’autostrada Salerno-Reggio – che venivano a caccia nelle paludi della foce del Crati che, proprio per la sua ricchezza di fauna acquatica, è oggi una riserva naturale protetta. 
 «Non posso andare troppo oltre rispetto a quello che sto per dire – premette Carlo Tansi, per non tradire il mandato di segretezza sui contenuti della consulenza svolta per la procura castrovillarese – ma posso mostrare l’immagine (che non può essere pubblicata per motivi di copyright, ndr) contenuta in una bella tesi di laurea che mostra l’andamento del Crati nell’arco degli anni. Ecco: nella zona in cui scorreva il vecchio alveo del Crati è stata realizzata, molti anni dopo, una struttura come quella dei cosiddetti “Laghi di Sibari”». «Certo – spiega il geologo del Cnr – oggi si può realizzare tutto, come il tunnel sotto la Manica. E, dunque, non è assurdo fare un’operazione del genere. Il problema è la manutenzione del territorio, che invece è fondamentale». Ma nulla, in questo senso, è stato concretamente fatto. Così, il parco archeologico di Sibari è esposto quanto l’anno scorso al rischio inondazione. «Il rischio è esattamente identico a quello che c’era l’anno scorso – dice Tansi. Dobbiamo soltanto sperare che la natura, il padre eterno, non ci mandi le piogge dello scorso anno. Perché mentre il medico studia, è proprio il caso di usare questa battuta spesso abusata, il malato muore. Per il solito scarico di responsabilità, nulla è cambiato; nulla è stato messo in sicurezza per salvaguardare un patrimonio che non è solo calabrese, ma che è dell’intera umanità». 
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