X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

VENOSA – Si facevano dare copia dei documenti e delle foto di famiglia. Sì proprio delle foto di famiglia per mettere subito in chiaro le cose a chi aveva a che fare con loro. Quel debito non sarebbe finito lì, ma avrebbe inseguito anche i suoi cari tormentandoli fin quando non fosse stato onorato.

E’ quanto scrive il gip Americo Palma nell’atto d’accusa contro Salvatore Prago e Rocco Lagala, titolare e dipendente della rivendita d’auto Autoprestige di Venosa.

«Il ruolo di Salvatore Prago – scrive ancora il gip che ha disposto gli arresti eseguiti ieri mattina – di Salvatore Prago è quello di distinguersi da Lagala (pur operando in sinergia con lui) per assumere atteggiamenti più concilianti e e meno aggressivi nei confronti della persona offesa in modo tale da indurla ad aprirsi con lui, a rivelargli le sue intenzioni e l’entità delle sue disponibilità economiche, al contempo incitandola ad effettuare i pagamenti delle somme usuraie. In particolare Lagala era più temuto (…) sia per i suoi modi incisivi, violenti e sbrigativi che per il suo pregresso curriculum giudiziario, annoverando a suo carico un omicidio volontario in pregiudizio di un giovane venosino».

Una strategia pianificata a tavolino? Una pantomina del tipo: “usuraio buono e usuraio cattivo”? A quanto pare sì, anche perché i ruoli tra Prago e Lagala sembravano corrispondere alla perfezione con le rispettive inclinazioni. Il primo, imprenditore con un’aura di rispettabilità assoluta, avrebbe procacciato i clienti e fornito il luogo fisico per i loro incontri col secondo. Poi a lui il compito di trattare le condizioni col piglio duro di un uomo appena uscito di galera, e di fatto ancora affidato in prova ai servizi sociali (fino a ieri, ndr). Infine la questione riscossione credito in cui a volte si muovevano in maniera divergente e a volte all’unisono. Quanto al finanziatore c’è un dato che appare insuperabile, ed è che alla fine quasi tutte le cambiali sono state trovate in possesso a Prago.

Gli investigatori hanno registrato anche «una vera e propria spedizione punitiva» nei confronti di una vittima in ritardo coi pagamenti, culminata con un tentativo di aggressione da parte di Lagala. La riprova dell’accaduto sarebbe emersa da un’intercettazione della stessa vittima col cognato in cui «in uno stato di profonda agitazione (lo si sente sospirare continuamente) racconta di essere stato raggiunto in serata presso il suo studio (…) da Salvatore Prago e Rocco Lagala. Quest’ultimo – prosegue il gip ricostruendo il contenuto della conversazione registrata dai carabinieri – gli avrebbe messo le “mani addosso” tanto da attirare anche l’attenzione di una signora (…) Inoltre racconta che Lagala lo avrebbe pesantemente minacciato con la frase “guardati sempre le spalle” ». 

Insomma Prago avrebbe «istigato» Lagala, cosa che preoccupa non poco il cognato della vittima visto il suo carattere notorio. Al ché l’imprenditore nella morsa dei due strozzini proverebbe a tranquillizzarlo dicendogli di «aver “tamponato”, alludendo evidentemente al pagamento di parte di quanto dovuto».

Com’era nato quel rapporto credito-debito? Stando a quanto scrive il gip come avviene spesso in questi casi, con le banche che cominciano a fare problemi. Più un po’ di astuzia per spingere «un amico di vecchia data» dentro la trappola.

«Originariamente gli cambiava degli assegni fornendogli contante per pari importo dei titoli che gli portava senza chiedere niente in cambio (…) In seguito con alcune scuse invece di dargli il pari importo dell’assegno gli consegnava contante inferiore all’importo degli assegni (…) asserendo che non aveva tutto l’importo facciale dell’assegno». Solo più tardi il malcapitato si sarebbe accorto che «tale tattica era adottata da Prago per incassare veri e propri interessi sul cambio degli assegni».

Poi sono arrivati i problemi, l’aggressione di Lagala durante la spedizione punitiva col tentativo «di afferrarlo al collo», e la minaccia di informare la consorte, che era del tutto all’oscuro della situazione, se non proprio di farla protestare mettendo in circolazione alcuni assegni a lei intestati e offerti in garanzia dal marito. Per questo sarebbe entrata in scena la moglie di Lagala, Nicoletta Mossucca.

Nessuna traccia invece della «malavita di Cerignola», e in un caso anche «di Melfi», che avrebbe  effettuato le ritorsioni contro chi non pagava utilizzando le foto dei familiari, offerte a loro volta in garanzia, come delle cambiali. Soltanto un bluff? Di certo una mano che nessuna delle vittime individuate dagli investigatori ha avuto il coraggio di andare a vedere.

l.amato@luedi.it  

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE