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POTENZA – Ieri mattina quando gli agenti hanno fatto irruzione in quella villetta nella periferia nord di Reggio Calabria. la “sua” periferia, non ha opposto nessuna resistenza. Resta soltanto da capire che ne sarà delle accuse lanciate in questi mesi dal suo nascondiglio a giudici “deviati” e “finti pentiti”. Incluso l’ex boss dei basilischi Antonio Cossidente. Non appena sarà seduto di nuovo davanti ai magistrati.

E’ tornato in carcere Antonino Lo Giudice, il pentito scappato a giugno dal programma di protezione, che in un memoriale aveva ritrattato la confessione sugli attentati contro vari magistrati reggini, denunciando – tra l’altro – il tentativo di “estorcergli” dichiarazioni contro Dell’Utri e Berlusconi.

Tra i suoi bersagli della sua invettiva, assieme all’attuale procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e al suo vice Michele Prestipino, c’è anche un noto magistrato lucano.

Si tratta di Gianfranco Donadio, sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia e titolare di indagini delicatissime sul ruolo dei servizi segreti nelle stragi di mafia del ‘92/’93, da cui è stato estromesso soltanto a settembre, dopo una clamorosa quanto “tempestiva” fuga di notizie.

Donadio è tra i quattro magistrati che si contendono la nomina come procuratore capo di Potenza, su cui da un mese si attende la decisione del plenum del Csm.

Ma Lo Giudice nel memoriale inviato ad agosto ad alcuni avvocati della città dello Stretto parla pure dell’ex capo dei vecchi basilischi, Antonio Cossidente, boss della calciopoli rossoblu e del processo sui rapporti tra mafia e politica, per cui l’11 gennaio dovranno comparire in Tribunale l’ex vicegovernatore della giunta regionale Agatino Mancusi, il consigliere regionale Luigi Scaglione, il consigliere comunale di Potenza Roberto Galante e l’ex assessore al bilancio del capoluogo Rocco Lepore (già condannato a 7 anni in primo grado), accusati di concorso esterno e incendio (solo Lepore).

Stando alla ritrattazione dell’ex pentito (orfano del capobastone Giuseppe ucciso nel 1990 durante la seconda guerra di ‘ndragheta) l’incontro con Cossidente sarebbe avvenuto nel carcere di Rebibbia. Lì il boss potentino gli avrebbe spiegato come comportarsi nei processi in cui doveva testimoniare come collaboratore di giustizia (incluse le regole della ‘ndrangheta da recitare a memoria). In più gli avrebbe riferito di aver fatto dichiarazioni contro un altro magistrato della Direzione nazionale antimafia che sarebbe stato «colluso con la criminalità potentina».

«Questi si chiama “Mandolia”». E’ scritto nel memoriale (virgolette incluse). Poco ma quanto basta per far pensare al più “quotato” tra i candidati alla procura del capoluogo lucano, quel Francesco Mandoi che di recente ha assunto il coordinamento proprio delle attività dell’antimafia in Basilicata (gli altri sono il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua a Vetere Luigi Gay, e l’ex procuratore di Ariano Irpino Luciano D’Emmanuele).

Peccato che Mandoi sia stato sì in servizio a Potenza già a metà degli anni ‘90, ma nelle dichiarazioni di Cossidente il suo nome non sia mai venuto fuori. Tant’è che quest’ultimo ha già annunciato querele.

Possibile che ci sia un tentativo di condizionare le decisioni del Csm? Ma orchestrato da chi?

Sono alcune delle domande sul tavolo del procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho (e non solo lui), che non sembra per niente intenzionato a lasciare zone d’ombra su tutta questa vicenda.

«Antonino Lo Giudice non è un mitomane, nè io ho mai fatto affermazioni in tal senso». Ha spiegato ieri alla stampa commentando l’arresto. «Quello che posso dire è che i memoriali prodotti dopo il suo allontanamento, per quel che riguarda la verifica fatta dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria nelle parti di propria competenza, sono risultati totalmente infondati. Da parte mia, in ogni caso, non ho mai espresso giudizi negativi sull’attendibilità del collaboratore».

«L’arresto – ha aggiunto – rappresenta l’ennesima operazione, forse la più significativa, che viene fatta nella città di Reggio Calabria perchè dimostra che lo Stato è presente e non è inquinato, come è stato detto quando Lo Giudice si è allontanato. Sono state cancellate così le illazioni che in questi mesi sono state ripetutamente diffuse».

Lo Giudice deve scontare la condanna a sei anni di reclusione inflittagli in primo grado e confermata in appello per la bomba fatta scoppiare davanti il portone dalla Procura generale. Ed è proprio a quell’episodio che ha voluto fare riferimento, poco dopo l’arresto dell’ex boss, il pg Di Landro, che più volte in passato si è dimostrato scettico sull’attendibilità delle dichiarazioni dell’ex pentito. «Spero – ha detto Di Landro – che si riesca a fargli dire la verità, rimuovendo le ridicole giustificazioni rese in passato in ordine agli attentati alla mia persona. Sarebbe opportuno soprattutto chiedergli come mai, se egli era l’autore dei due attentati contro di me, nelle migliaia di intercettazioni che riguardano lui, suo fratello Luciano e altri del suo entourage, mai ha fatto riferimento a me(…) Io per i Lo Giudice è come se non fossi mai esistito. E allora come si giustifica tanto accanimento nei miei confronti?»

l.amato@luedi.it

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