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SONO passati ormai dieci lunghi anni, da quel 13 novembre 2003, quando la Basilicata piombò nell’incubo nucleare.
Quella mattina, arrivò in tutte le redazioni degli organi di stampa, lucani e nazionali, una breve agenzia Ansa, che annunciava la soluzione del problema sito unico per le scorie nucleari di tutto il Paese.
Il piccolo comune di Scanzano Jonico, con le sue cave di salgemma in disuso, si sarebbe prestato a questa operazione. Nella notte, il secondo Governo Berlusconi aveva varato il famigerato Decreto 314, che indicava proprio il comune jonico come sito prescelto, dove presto sarebbe arrivata la carovana di tutte le scorie d’Italia, da quelle a bassa e media attività degli ospedali, a quelle con radioattività di centinaia di anni, fino ad allora stoccate nelle centrali nucleari del Paese.
Una notizia che, sulle prime, gelò tutti, suscitando rabbia ed incredulità. In poche ore il mite popolo lucano trovò la forza di reagire, e con lui anche le regioni limitrofe. Dal 13 al 27 novembre, per quindici giorni, passate alla storia come “le quindici giornate della lotta antiscorie, la Basilicata ribolliva. La mobilitazione di tutti i lucani, culminata nella grande manifestazione ribattezzata “La marcia dei centomila”, obbligò, moralmente e politicamente, il Parlamento a cancellare il nome di Scanzano Jonico nella conversione in legge del decreto.
Da allora le paure non si sono mai sopite. Il nome di Scanzano e la Basilicata spesso tornano nelle mappe ipotetiche delle zone d’Italia, che avrebbero condizioni orografiche ideali per il deposito unico nazionale, da quel momento rimasto solo sulla carta. Una mappa a cui si lavora dagli anni Settanta, con la individuazione di ben 30 siti potenzialmente predisposti. Poi il silenzio, fino al referendum del 1987, che mise al bando il nucleare in Italia, riproponendo però il tema di questa pesante eredità, che Rotondella e la Basilicata già pagano, ospitando le famigerate barre americane del reattore Elk River, nell’Itrec del Centro Enea.
Oggi, dopo dieci anni, basta un minimo sospetto per far alzare le barricate. Come è accaduto a fine luglio, con il trasporto “top secret” all’aeroporto militare di Gioia del Colle (Ba) di un chilo di biossido di uranio, prelevato dalla centrale Itrec di Rotondella, adibita negli anni ’60 e ’70 al ciclo nucleare uranio-torio, e restituita agli Stati Uniti nell’ambito di accordi internazionali della Sogin. Due giorni con poche e frammentarie notizie hanno subito fatto scattare l’allarme, poi rientrato, sul materiale effettivamente trasportato, alimentando timori su perdite di radioattività.
Il timore è più che giustificato, perchè in effetti il problema di individuare un cimitero nazionale per le scorie, non è ancora stato risolto, come ha confermato lunedì l’ex ministro all’Ambiente di quegli anni, Altero Matteoli, sentito come teste in un processo al tribunale di Matera sulle presunte conoscenze locali dello scellerato progetto del Governo Berlusconi.
Allora come oggi, infatti, tra le maggiori preoccupazioni del Governo, soprattutto con l’incombenza del terrorismo internazionale, c’è più che mai la necessità di riunire in un unico posto super sorvegliato, tutte le potenziali bombe atomiche disseminate nel Paese. Nel 2003 Scanzano fu candidata per l’intraprendenza del sindaco Mario Altieri, che, come ha ribadito Matteoli in udienza, era particolarmente entusiasta delle compensazioni economiche derivanti dall’operazione. Poi, quando è esplosa la rabbia dei lucani, lo stesso sindaco marciò con chi protestava. La battaglia antiscorie è anche questo, ovvero una storia di ordinaria ipocrisia politica.
In merito all’individuazione del deposito nazionale la partita è ancora aperta, perchè in ambito europeo, con la Direttiva sulla gestione delle scorie del 2011, gli Stati membri dovranno consegnare entro il 2015 dei Piani specifici che dicano quando e come realizzeranno i depositi, come gestiranno le scorie e una serie di altre informazioni, compresa quella non banale di quanto costerà lo smaltimento e come lo finanzieranno. Chi vivrà vedrà.
a.corrado@luedi.it
A Terzo Cavone
Verso la Città della pace
Oggi a Terzo Cavone, la contrada di Scanzano dove si voleva realizzare il sito unico delle scorie nucleari italiane, si lavora per la realizzazione di una “Città della pace”, promossa dal Premio Nobel Betty Williams e sostenuta dalla Regione. Nell’aprile del 2012 il Dalai Lama in persona ha voluto visitare il sito di Terzo Cavone, accompagnato dal presidente della Regione, Vito De Filippo, dal sindaco di Scanzano Jonico Salvatore Iacobellis e dal Premio Nobel per la Pace, Betty Williams. È il luogo simbolo della protesta antinucleare. «Molto bello», disse il Dalai Lama parlando del progetto. Ha pregato per la Città della Pace, recitando un mantra del “Sutra del Cuore”. «Un luogo assolutamente simbolico che rappresenta una delle pagine più belle della storia della Basilicata. È stato scelto il più remoto dei contrari del sito unico delle scorie radioattive che è la Città della Pace per i bambini», disse il presidente De Filippo. Dove dovevano arrivare rifiuti nucleari, arriveranno bambini in questa grande struttura di Terzo Cavone.
Il tutto ha avuto un costo pari a tre milioni di euro a spese della Regione e il terreno pari a sette ettari di terra è a carico del Comune, per un costo del valore di ottocentomila euro.
La Città della Pace per i Bambini in Basilicata nasce da un’idea di Betty Williams, premio Nobel per la pace 1976. Nel 2003 durante la mobilitazione popolare, la Williams intervenne a sostegno di un utilizzo alternativo di questo territorio. Partendo da questa idea, nel 2004 la Regione ha realizzato uno studio di fattibilità per verificare la sostenibilità di questa iniziativa innovativa che non si limita a conseguire pur importanti obiettivi umanitari, ma configura anche una nuova opportunità di sviluppo economico e sociale per i cittadini lucani realizzando un intervento capace di coniugare la solidarietà allo sviluppo e l’accoglienza alla sostenibilità territoriale. La Regione Basilicata ha finanziato, con un Accordo di Programma Quadro, la realizzazione dell’intervento denominato “Realizzazione della Città per la Pace in Basilicata”. Nel settembre 2009 sono state stipulate le convenzioni con il Comune di Sant’Arcangelo e di Scanzano Jonico per la realizzazione delle infrastrutture necessarie all’accoglienza e si è proceduto all’appalto dei lavori.
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