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E’ successo di tutto  in questi ultimi mesi: elezioni regionali anticipate, come epilogo di una consiliatura deludente, per usare un eufemismo, lo scandalo dei rimborsi dei consiglieri regionali, le primarie del Pd lucano al calor bianco e sullo sfondo un Governo nazionale che, sfiduciato da quanto fatto qui come altrove, vuole controllare con una apposita Agenzia i 108 miliardi di euro destinati alle regioni meridionali, commissariandole di fatto.

Una situazione da caduta di regime, eppure non si intravvedono segnali di cambiamento e di discontinuità” minimamente” proporzionati a tale sfacelo politico.

La campagna elettorale si caratterizza, producendo molta aria fritta, come direbbe Salvemini.

Nelle liste elettorali dei vari partiti c’è di tutto, ossia inquisiti, giovani in attesa di un impiego, individuando nelle elezioni una opportunità in tale senso, sodali e parenti di inquisiti, terze e quarte file delle dirigenze dei vari partiti, politici di lungo corso che non intendono mollare il loro scranno. Che si tratti di evidenti operazioni di ripiegamento su se stesso del ceto politico in questione, lo si evince dalla scarsissima presenza femminile nelle liste elettorali. A fronte di un popolo femminile che supera quello maschile, le donne in lizza elettorale vanno cercate col lanternino. La donna è stata emarginata, inascoltata e incapace di farsi ascoltare. Il risultato è che abbiamo un contesto elettorale che, escludendo le tante intelligenze femminili, rinuncia ad una risorsa fondamentale per la crescita anche politica e ribadisce l’arretratezza culturale della classe politica, capace soltanto di erigere l’ennesima barriera all’ascesa delle donne lucane.

Il processo di comunicazione, con cui la politica ha accompagnato i singoli eventi succitati, è stato alimentato, non da riflessioni sulle cause   egli effetti prodotti nel campo economico e sociale dalla politica in tanti anni di attività, ma da generiche argomentazioni di supposto rilancio dell’azione politica, ricorrendo a  banali formule vuote di reale contenuto, come la pretesa di” liberare la Basilicata”, non si sa bene da chi, come, perché e per andare dove.

La Basilicata ha potuto contare nel passato di una spesa pubblica pro-capite superiore alla media delle altre regioni italiane a cui si sono sommati i grandi investimenti da parte della media e grande industria nazionale e, di contro, ha registrato indicatori socio-economici tra i peggiori in Italia. Detto altrimenti, siamo messi molto peggio di quanto è messo l’intero Paese, nonostante le grandi risorse ricevute. Siamo in pieno declino demografico, con un processo di deindustrializzazione che ci sta facendo tornare indietro di almeno 15 anni, con posizioni culturali tipiche di un territorio afflitto da grave depressione socio-economica, eppure i candidati più accreditati  bypassano tutto questo e non si sognano di avere qualche momento di resipiscenza circa gli errori commessi, ma, contando sulla memoria corta dei lucani, si cimentano in spregiudicate fughe in avanti, promettendo ciò che non hanno saputo fare in passato, sciorinando ricette improbabili, non fosse altro perché non suffragate da dati reali, risorse spendibili, compatibilità finanziarie. Il tutto ovviamente senza un disegno complessivo di sviluppo

Non c’è movimento politico, piccolo o grande che sia, che non invochi la parola “cambiamento”.  Cambiare è difficile, rilevano due professori universitari di Stanford e di Harvard, i fratelli Heath, in un loro libro intitolato “Switch, come cambiare quando cambiare è difficile” Rizzoli editore,  che consiglio di leggere ai futuri amministratori regionali. Occorrono almeno tre cose per cambiare : una leadership che si ponga concretamente tale finalità, la sua credibilità e capacità di motivare i soggetti interessati, strutturando un contesto ricettivo alle innovazioni e darsi una strategia per realizzarlo. Tre condizioni che sinceramente non vedo emergere in questa campagna elettorale. Mi auguro ovviamente di sbagliarmi, ma le vicende accennate in precedenza non vanno nella direzione di un nuovo corso politico. Non si intravvedono storie politiche individuali e collettive che siano coerenti con un progetto di cambiamento. C’è una precondizione al ragionamento fatto dai due professori americani e cioè che l’opera di cambiamento per essere credibile necessita di una operazione verità che finora è sistematicamente mancata al ceto politico lucano che, al contrario, ha adottato una tattica di negazione del sottosviluppo regionale, sostenendo come i lettori ricorderanno, l’idea-imbroglio del “tutto a posto”, richiudendosi in una posizione autoreferenziale. I negazionisti ad oltranza legittimano la loro posizione parlando di modello lucano(sic!). In realtà, negazionismo, dissimulazione disonesta della verità, autoreferenzialità sono momenti mediatici di grande ostacolo ad un possibile processo di modernizzazione della regione. Senza farsi carico degli errori e delle responsabilità di quanto fatto finora è difficile sperare di imboccare la via della rinascita. E’ appena il caso  di rilevare che la politica ha le maggiori responsabilità su ciò che siamo e sul nostro passato, ma  le molteplici corporazioni in cui si articola la società regionale  hanno certamente le loro e sono di tutto riguardo. Tali soggetti concorrono a costruire e mantenere il modello lucano.               

Che il modello non preveda dinamiche socio-economiche tipiche del  cambiamento sta nel modo di distribuire le risorse pubbliche, nelle sue strutture organizzative, nelle modalità di selezione della classe dirigente. Per i ceti dominanti sul modello non conviene riflettere, men che meno metterlo in discussione, va bene così, anche se non genera sviluppo, se spinge i giovani ad emigrare, se fa perdere  loro fiducia nelle proprie possibilità: ciò che conta è la sopravvivenza della classe dirigente. Avanti a tutto questo, non ci si può aspettare alcuna catarsi,  alcuna rivoluzione, alcuna liberazione , ma semplice solito prevedibile  (ri)posizionamento sullo scacchiere del potere regionale, attraverso una dura lotta tra fazioni: ci aspetta, in altri termini, il contrario di ciò che servirebbe alla Basilicata. 

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