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VIBO VALENTIA – Prima il provvedimento di fermo, ora quello di custodia cautelare in carcere emesso dal gip distrettuale di Catanzaro. Si chiude il cerchio intorno agli esponenti della cosca Mancuso di Vibo Valentia che nei giorni scorsi erano stati arrestati nell’ambito dell’operazione “Never ending”, portata a termine dalla squadra Mobile di Catanzaro e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia.
Il provvedimento è stato emesso nei confronti delle otto persone già poste in stato di fermo, tra le quali anche il boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, già in carcere per una sfilza di altri reati.
L’inchiesta hanno messo in luce, tra l’altro, come alcuni arrestati avrebbero anche costretto un testimone di giustizia, l’imprenditore Vincenzo Ceravolo, che aveva fatto condannare esponenti di spicco della cosca Mancuso di Limbadi a ritrattare le accuse in una fase successiva del processo.
MINACCIATO PER RITRATTARE – Per questo reato la contestazione è mossa a Raffaele Fiumara e Pantaleone Mancuso, in concorso tra loro, i quali avrebbero minacciato Ceravolo per costringerlo a ritrattare le sue accuse contro un boss della cosca di Limbadi. Ceravolo, imprenditore vibonese attivo nell’export del tonno fresco del Mediterraneo, è sotto protezione dal 28 maggio del 2003 dopo che denunciò un boss della cosca Mancuso che, insieme ad un suo affiliato, fu processato e condannato per estorsione aggravata dalle modalità mafiose. La condanna fu confermata in appello nel 2004 ma poi la Cassazione, per una questione tecnica, annullò la sentenza disponendo un nuovo processo che però non è stato ancora celebrato. E proprio in questo periodo si sarebbero verificate le minacce e le intimidazioni. L’imprenditore, nel corso degli anni, ha denunciato di avere subito danneggiamenti per circa 20 milioni di euro. Nel corso dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Giuseppe Borrelli e dai pm Simona Rossi e Carlo Villani, gli investigatori della squadra mobile, come accennato in precedenza, hanno anche portato alla luce un tentativo di estorsione ai danni di un altro imprenditore del vibonese evidenziando un legame tra personaggi legati alla criminalità di Gioia Tauro e quelli di Vibo.
“TI TAGLIAMO CON LA MOTOSEGA” – Tra i reati contestati anche le minacce all’imprenditore Francesco Vinci di Pizzo Calabro. Il quale sarebbe stato minacciato di essere tagliato in due con una motosega. Proprio Vinci è parte lesa dell’operazione antimafia “Never Ending” e che ha denunciato le minacce subite.
Autori della minaccia sarebbero stati Domenico Pardea, 46 anni, detto “U Ranisi”, residente a Pizzo, arrestato stamane, e Carlo Riso, 35 anni, di Gioia Tauro, allo stato irreperibile. Il nuovo “capo” di Pizzo Calabro, secondo la Dda, sarebbe stato invece Raffaele Fiumara, 60 anni, del vicino comune di Francavilla Angitola, uscito dal carcere dopo aver scontato una condanna per traffico di droga rimediata nell’inchiesta “Pizza connection”. Fiumara, secondo l’accusa, avrebbe ridimensionato nella zona di Pizzo sia il ruolo di Domenico Pardea e sia quello esercitato dai Bonavota di Sant’Onofrio, tanto da pranzare e cenare gratis in diversi ristoranti della zona “Marinella” di Pizzo. La presenza di Raffaele Fiumara fa scrivere agli inquirenti nel decreto di fermo che in tali zone del Vibonese “sa assiste ad una vera e propria occupazione del territorio sottratto alla sovranità dello Stato, verificandosi un processo di sostituzione delle funzioni a cominciare dal monopolio dell’amministrazione della giustizia detenuto da esponenti di spicco della criminalità che assurgono al ruolo di arbitri delle controversie al posto degli organi istituzionalmente preposti”.
LE PERSONE COINVOLTE – Il nuovo provvedimento di custodia cautelare in carcere è stato notificato a: Raffaele Fiumara detto Lello, Eugenio Gentiluomo, Rocco De Maio, Carlo Riso, Domenico Pardea, Antonio Vacatello, Massimo Patamia e Pantaleone Mancuso.
Pietro Comito
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