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MATERA – Un altro mito che cade. Un altro segno dei tempi che cambiano. Lo sciopero dei giorni scorsi dei bancari, potrebbe non essere nemmeno l’ultimo, aveva portato con sè chiacchiericci e battute ironiche su un settore che non può vedere la crisi.
In realtà il sogno di una volta in cui quello in banca era il posto più ambito in ogni famiglia oggi non c’è più.
A spiegarlo al “Quotidiano” ieri è stato Franco Casini segretario nazionale della Fabi, Federazione autonoma bancari italiani che insieme ai vertici locali ha tenuto il congresso provinciale.
«I bancari sono ben diversi dai banchieri, quelli prendono per pochi anni di lavoro buonuscite a molti zeri.
Noi invece» ha spiegato Casini, «ci poniamo l’obiettivo di difendere i posti di lavoro di persone che prendono al massimo 1200 euro al mese.
Una realtà economica florida non è più quella di oggi, una volta era certamente diverso ma oggi lavorare in banca non è così entusiasmante sotto il profilo economico.
Un cassiere prende uno stipendio normale. Noi stiamo lottando in questo momento per difendere il posto di lavoro di 309.000 ragazzi che prendono stipendi normali da circa 1200 euro al mese e che vengono messi a rischio da un’idea sbagliata.
Le banche continuano a fare credito ai soliti nomi, a quelle imprese che non riescono a sostenere i costi ed alla fine per tagliare e recuperare danaro si rivalgono sul personale».
La fotografia, di fatto, di un mondo diverso da quello che si poteva immaginare, una realtà sociale nuova per la quale anche il mito, oggi falso, del posto in banca viene a cadere.
E le ricadute di una situazione di questo genere non sono solo di carattere nazionale.
«Dove pure continueremo a lottare e se non ci sarà un dietrofront dell’Abi (associazione banche italiane) sul contratto ed allora penseremo al da farsi.
Noi siamo pronti» ha spiegato Casini, «a sederci al tavolo per discutere ma la soluzione che viene prospettata non può essere solo un taglio.
Se questo tipo di scelta dovesse essere confermata e la disdetta decisa non ritirate ed allora non escludo niente. Altri scioperi? Potrebbero anche esserci».
Ieri sera l’associazione sindacale che conta una parte importante delle rappresentanze di categoria ha nominato i nuovi vertici sindacali con le rappresentanze di Popolare del Mezzogiorno e Banco di Napoli che sono numericamente le più numerose. A Mario Latorre per oltre vent’anni alla guida della Fabi materana è subentrato Francesco Passarelli con un ampio rinnovamento all’interno della segreteria provinciale.
Anche perchè la questione è anche della provincia di Matera e non è solo nazionale. Una realtà che ha visto numerosi cambiamenti con il personale, ad esempio, all’ex Banco di Napoli che è passato da 115 a 35 unità in poco tempo e con un processo di cambiamento, in termini ad esempio di direzione generale spostata a Crotone, che ha riguardato anche l’altra realtà principale cioè la Popolare del Mezzogiorno.
«Oggi sono 500 le unità in provincia di Matera che rischiano e che si trovano nella stessa situazione delle 309.000 a livello nazionale» spiega Michele Sacco, «noi contiamo la metà degli iscritti sindacali e siamo pronti a lavorare perchè questi numeri subiscano uno stop con scelte condivise a livello nazionale. Anche dalle nostre parti gli sportelli hanno segnato uno sciopero tra 85 e il 90 per cento complessivo. Segno di una grande partecipazione generale».
I prossimi giorni saranno quelli nei quali il confronto proseguirà, con alcuni punti fermi che vedono i bancari non poter più arretrare nelle scelte e nelle concessioni. «Noi non siamo banchieri, quelli sono un’altra cosa. Quest’equivoco va abbattuto. Noi abbiamo stipendi che sono oggi molto bassi e che vanno anche coordinati con la necessità di essere spesso in viaggio e lontano da casa. Spese ulteriori che diventano un aggravio pesante».
p.quarto@luedi.it
I MOTIVI DELLO STATO DI AGITAZIONE
L’agitazione dei bancari era stata indetta dopo che l’Abi ha disdettato unilateralmente – con un anticipo di tre mesi e mezzo sui termini – il contratto collettivo nazionale dei bancari siglato il 19 gennaio 2012. Quel contratto, con un aumento medio a regime di 170 euro, per l’Associazione bancaria è ormai troppo oneroso, con aumenti non più sostenibili a fronte del peggioramento dello scenario economico e produttivo.
Per i sindacati invece il settore e i suoi lavoratori meritano più attenzione anche da parte del Governo.
L’Abi ha ricompattato le otto sigle del settore rche espingono all’unisono, con accenti diversi, ragioni e modalità della disdetta. Tre in sintesi le critiche dei sindacati alle argomentazioni dell’Abi.
La prima riguarda il costo del lavoro: le banche sostengono che gli oneri, compresa la voce importante della previdenza integrativa, non sono più sostenibili da conti economici zavorrati dalla contrazione del business e dal peso delle sofferenze anche per la progressione di carriere e scatti automatici. Per i sindacati il costo del lavoro, sia a livello di sistema, sia unitario, è invece già calato sotto la media dei concorrenti europei. Ma le questioni si intrecciano anche con le novità informatiche che sono subentrate in questi anni.
Tanto che per l’Abi c’è anche l’esigenza di valutare la reale consistenza degli ulteriori esuberi che potrebbero crescere per l’aumento dell’operatività on line, la riduzione dei volumi e la ridefinizione delle reti fisiche.
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