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“Bisogna ridare un ruolo ai sindacati” dice Bill De Blasio, il nuovo sindaco italoamericano di New York, “per lottare e stare dalla parte di chi ha bisogno”. Mi sembra un passaggio importante, quello pronunciato dal nuovo primo cittadino della Grande Mela di origini campano-lucane, utile per riflettere sulla funzione che la politica dovrebbe tornare ad avere anche dalle nostre parti. Si può riflettere sulla necessità di “sindacalizzare” la politica, svuotarla del ruolo di gestione che essa oggi ha, trasformarla in cura, cioè attenzione ai bisogni della comunità, facendo da incubatore intelligente delle istanze che da essa provengono. La piccola grande vera rivoluzione di cui avremmo bisogno in Basilicata è un passo indietro. Un passo indietro della politica dall’occupazione del governo della cosa pubblica e una visione equa nella distribuzione delle risorse ai cittadini e ai territori.
Ha fatto molto discutere la proposta del professor Ribba sull’accorpamento delle principali società lucane, Acquedotto, Acqua spa, Sel. Le cronache degli ultimi anni ci hanno raccontato di una proliferazione di doppioni di incarichi, all’interno delle società, disegnate ad hoc per soddisfare la bramosia spartitoria dei partiti. Con buchi miliardari sistematicamente ripianati dalle casse pubbliche e con servizi mai corrisposti. E’ notizia di oggi: i lavoratori del Consorzio Val d’Agri sono senza stipendio da sei mesi.
Sull’uso sociale delle royalty più volte il governatore De Filippo ha rivendicato come esse siano state utilizzate per tutta la regione a sostegno del welfare. Ma è altresì vero che la parcellizzazione rivendicativa dei singoli territori interessati alle estrazioni è lasciata alla disgregazione di pensiero dei singoli amministratori in guerra tra loro e ognuno con una propria, originale, idea di utilizzo. Un quadro frammentario, certo inceppato nei limiti dei vincoli di stabilità, ma paradossale in alcune contraddizioni che stiamo raccontando con il nostro viaggio in Val D’Agri: sento spesso dire in questa campagna elettorale che per attrarre investimenti produttivi bisognerebbe ridurre la bolletta energetica. Ma diamo uno sguardo alle aree industriali. A Viggiano il metano non c’è. Se andiamo nell’area industriale di Tito le contraddizioni sono ancora più tremende.
Se il ruolo principe di una regione è quello di programmare oggi ci troviamo davanti a un paradosso di sovversioni gerarchiche: abbiamo un Stato che spesso tradisce le regioni, così com’è stato per la Basilicata durante la trattativa sul Memorandum. Uno Stato sempre più accentratore (vedi, appunto, le prerogative del Mise sulla destinazione delle maggiori entrate per la Basilicata ottenute dalla fiscalità pagata dalle compagnie; vedi tutta la politica energetica inaugurata da Passera; o anche l’idea di un’agenzia nazionale per i fondi comunitari; o ancora le dichiarazioni del ministro Bray sulla centralizzazione delle politiche sui beni culturali) e una regione incapace di coordinare i terminali territoriali, cioè i comuni, con una politica omogenea di orientamento, di accorpamento dei servizi, di indicazione delle priorità.
In pratica lo Stato si comporta verso la regione così come la regione dovrebbe più efficientemente comportarsi nei confronti delle amministrazioni. La questione petrolio è emblematica. E l’idea lanciata ieri di un assessorato dedicato può essere un punto di discussione facendo attenzione a non sovrappore il ruolo di controllato e controllore (soprattutto con le diramazioni degli enti subregionali). Non si tratta di svuotare di autonomia i municipi, ma di indirizzarli secondo linee guida e secondo una visione globale. C’è, in altre parole, bisogno di spezzare la linea dell’egoismo: può sembrare qualunquistico e so che l’ingegnere Alberti, il sindaco di Viggiano a questo discorso è, diciamo, sensibile: ma il concentramento di tutti i milioni nelle casse di un piccolo paese che non sa neppure come spenderli sfugge a qualunque logica di politica solidale. Non solo verso i comuni vicini, ma direi di tutta la Basilicata. Questi soldi sono trattenuti come la roba di Verga, guai a chi li tocca. La Regione già ha il suo, questa la giustificazione, è qui che si estrae ed è qui che dobbiamo ricevere.
Le parole spesso sono facili. Talvolta mere emissioni acustiche. E so bene che attaccare è più semplice che ragionare. La complessità di una macchina amministrativa e le mille difficoltà (di ruoli,persone, funzioni, norme) non è dalla parte di chi, mettiamo caso, avrebbero davvero voglia di innovare. Le sollecitazioni dal basso si mescolano alle aggressioni senza fondamento. Ci penso spesso: la politica, al tempo della massima diffusione di partecipazione sociale, ha lo stesso problema del giornalismo. Non è più una funzione scontata. Eppure c’è sempre più bisogno di buona politica come di buon giornalismo. E per distinguersi occorre dimostrare di avere intelligenza di contesto rispetto alle mille sollecitazioni liquide. Se informare non è fare giornalismo, rappresentare non è più fare politica. Prendersi cura di una comunità, e lavorare di sintesi su percorsi scelti e condivisi in base a una visione che si ritiene la più utile e la più equa. La politica è assediata da mille programmi e proposte: qualunque corpo sociale da qualunque posto chiede, denuncia, rivendica. La condivisione di un progetto diventa un assecondare. Quasi sempre, tra l’altro, per tornaconto di potere. Scambiamoci un “mi piace”, ma a missione compiuta.
l.serino@luedi.it
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